domenica 5 giugno 2022
Domani è il 6 giugno. Ad alcuni questa data non dice più niente. 6 giugno 1944, il D-Day, quando 150mila soldati Alleati dai porti d'Inghilterra approdarono sulle coste della Normandia. Sbarcarono all'alba, con navi da guerra e imbarcazioni di ogni tipo. Con anfibi, carri armati, cannoni, ospedali da campo. Gli ultimi cento metri a nuoto in un mare gelido e agitato, il peso delle armi che trascinava verso il fondo. Solo il primo giorno, 4.400 morti Alleati. Alla fine, 70mila di quei 150 mila rimasero laggiù.
Ragazzi, venuti dal Wisconsin o dal Texas o dal Canada a liberare dai nazisti un'Europa sconosciuta. Cosa sognavano, nel rombo dei lenti voli militari che varcavano l'Atlantico? Di vedere magari Roma, o Parigi? O solo di tornare vivi dalla fidanzata, o dalla mamma? Venti, venticinque anni avevano. Grata a ognuno di quei loro volti sconosciuti – occhi chiari da eredi di irlandesi, o pelle nera da afroamericani. Anche grazie a loro un anno dopo l'Europa era libera.
In quanti, quanti dormono nei cimiteri in Normandia, stuoli di croci candide e uguali. Poco lontano ci sono i cimiteri tedeschi. Le croci lì sono scure, gli anni dei morti erano gli stessi.
Ma quelli dal Wisconsin o dal Texas, venivano da così lontano. Grata a ciascuno di quei volti che potevano essermi padri: ma così giovani, ancora e per sempre, che adesso penso a loro maternamente – come figli non conosciuti.
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