venerdì 6 settembre 2019
Sento spesso il lamento di amici e conoscenti sulla miseria della cultura italiana di questi anni, per esempio sulla scomparsa dei grandi romanzieri che erano in grado di ragionare sullo stato del paese, ed erano punti di riferimento civili e morali non solo nel campo delle loro competenze, dei grandi “specialisti”, filosofi o altro, che sapevano cosa dire nei momenti gravi, di febbre o di stallo. Capita anche a me di lamentarmi, e di sentire nostalgia dei grandi con i quali mi era possibile ieri dialogare, da cui imparare, e magari con cui litigare. Penso - sono stato una persona fortunata, che ha potuto discutere e spesso scontrarsi con dei grandi e dei grandissimi oggi purtroppo scomparsi - a Sciascia e Morante, o Bobbio e Pasolini, Ortese e Bilenchi, Cases e Sereni, Fellini e Monicelli, Volponi e Ramondino, Bene e Arbasino (che è ancora vivo, ma non più in grado di dire) eccetera eccetera. Però, è proprio vero che con la Grande Mutazione, con l'Età del Narcisismo i grandi intellettuali sono scomparsi? Sono convinto che ce ne sono ancora e molti, anche se due nuove categorie li hanno allontanati dalla scena, prima fra tutte quella (Lasch insegna) dei piccoli ciarlatani da web - e il loro nome è Legione - e seconda quella dei mediatori per eccellenza, i giornalisti. Per esser chiari, certi direttori di grandi giornali si considerano loro Grandi Intellettuali e Grandi Maestri del nostro tempo e non amano dar spazio a persone più intelligenti di loro, e se lo fanno scelgono tra i predicatori della conformità, e quand'anche qualcuno di quelli che fanno scrivere (e non è così frequente) sia persona studiante e ragionante, si deve pur constatare che nessuno o quasi li sta sentire. Penso, un esempio tra pochi, a Galli della Loggia che scrive cose sensate insieme ad altre discutibili sul disastro della nostra società e ha scritto un libro su quello della scuola pubblica (L'aula vuota, Marsilio) sul più importante dei nostri quotidiani, ma chi lo sta a sentire? Contiamo tutti uguale, no?, e le “professoresse” contano più dei possibili maestri. Tutti parlano e nessuno ascolta. Eppure ho letto in questi giorni dei libri molto belli, di persone che, mi sembra, non hanno voce fuori (alcuni) da una disastrata università. Un capolavoro storiografico e letterario di Luciano Mecacci, lo sconvolgente Bespryzornye (Adelphi). Un bellissimo panorama dei pittori più amati (e molti poco noti) da un pittore e scrittore, Ruggero Savinio (Il senso della pittura, Neri Pozza). Un altra rassegna di pittori poco noti stilata da Anna Ottani Cavina (Una panchina a Manhattan, Adelphi), e andando un po' indietro , un romanzo “antropologico” formidabile di Francesco Pecoraro (Lo stradone, Ponte alle Grazie) e uno di intensità tutta femminile di Giulia Corsalini (La lettrice di Cechov, nottetempo). E tanti nomi posso ancora fare, un po' a caso, da Agamben a Calasso, da Isaia Sales a Carlo Ginzburg, da Patrizia Cavalli a Donatella De Cesare, Franco Venturi eccetera. Ho letto anche libri scialbi, pretenziosi, narcisi, superficiali, anche di vecchi bonzi più rispettati del dovuto, ma è su quelli belli che va insistito, contro la Legione dei narcisi, che avanzano a ruota libera e guardandosi allo specchio.
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