Facebook e il marketing della bontà
venerdì 14 aprile 2017

«La bontà è l'unico investimento che non fallisce mai», sosteneva Henry David Thoreau. Il filosofo e poeta americano si riferiva alle persone. Ma ai giorni nostri la «bontà» è diventata anche un potente strumento di marketing. Lo sanno bene quelle aziende che legano i propri prodotti a progetti sociali per spingerne le vendite e lo sa molto bene Facebook Inc, il colosso digitale che possiede Facebook, WhatsApp, Instagram e molto altro. Un colosso che, nell'ultimo trimestre, ha raddoppiato i profitti a 3,57 miliardi di dollari e aumentato le entrate del 51%.
Ovviamente Facebook Inc. non ha fatto nessuna dichiarazione al riguardo, ma ha seminato ben tre «indizi» solo negli ultimi giorni. Il tutto (sarà un caso?) dopo che, negli ultimi mesi, è stata accusata di essere col suo social un volano mondiale di notizie false, odio e immagini inqualificabili. Primo indizio. Chi ha usato recentemente Facebook si è trovato davanti un bel post dell'azienda con un «decalogo» per «individuare le notizie false». L'iniziativa è assolutamente meritoria, anche se solo fra un po' di tempo potremo misurarne la reale efficacia. E in più risponde alle critiche fatte al social, dimostrandone serietà e autorevolezza agli occhi della gente.
Secondo indizio. Dopo che la rivista Time ha denunciato la presenza su Facebook di immagini «pedopornografiche», ieri l'azienda ha immediatamente rimosso i contenuti, ringraziando pubblicamente la testata. La velocità con la quale ha ripulito il social è lodevole quanto inedita. Segno ulteriore di un cambiamento di rotta. Se non fosse che l'ha fatto, solo quando la denuncia è arrivata dal magazine e non quando a farla era stato, qualche giorno prima, il suo giornalsita, iscrittosi a facebook come una persona qualunque.
Terzo indizio. Nelle prossime settimane, sarà testato nella versione americana di Facebook uno «strumento» potente e rivoluzionario: la possibilità di lanciare collette personali. Qualunque iscritto potrà raccogliere soldi per piccole esigenze personali, «per sé, un amico, un familiare o un animale». Che si tratti di spese mediche o per un funerale, per cure personali o per quelle di un proprio familiare o di un animale, ognuno potrà chiedere soldi ai propri contatti.
Siamo certi, vista la serietà del colosso guidato da Mark Zuckerberg, che avranno pensato molto bene a come rendere queste raccolte di fondi personali via social a prova di truffa. Tanto più che l'iniziativa sembra copiare di sana pianta la piattaforma GoFundMe, nata sei anni fa. Lo strumento – spiega Facebook – «è un evoluzione del nostro pulsante "donate" (dona) nato nel 2016 e che ha permesso di raccogliere grazie alla generosità degli utenti 750.000 dollari per organizzazioni non profit». L'idea è stupenda e, se usata nel modo migliore, potrà fare del bene a centinaia di migliaia di persone. E nel contempo rialzare le quotazioni «morali» del social e di tutta l'azienda. Manca solo un dettaglio. In sei anni la piattaforma GoFundMe – dalla quale Facebook ha preso l'idea – ha raccolto più di 3 miliardi di dollari per cause personali, trattenendo per sé «il 7,9% su ogni donazione, più 30 centesimi di dollaro».
Facebook farà lo stesso. Ma «tassando» ogni donazione personale «solo» del 6,9% (cioè un punto in meno), «non per trarne profitto ma per sostenere le spese dello strumento». Perché Facebook sarà anche diventato «più buono», ma il suo obiettivo primario resta il fatturato. Meglio ricordarselo.

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