Elisabetta Rasy tra donne, vita e arte
venerdì 17 maggio 2019
Ci sono molti modi per parlare di sé. Il più proficuo è forse parlare d'altro e di altri, persone inventate o persone incontrate nella realtà, nei libri o nell'arte. Ha fatto proprio questo, mi sembra, Elisabetta Rasy nel suo libro Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte (Mondadori, pagine 254, euro 20,00) studiando e mettendo in scena con ammirevole maestria narrativa la vita e l'opera di sei pittrici che hanno incarnato altrettante virtù caratteriali e artistiche: coraggio, tenacia, irrequietezza, ribellione, resistenza, passione. Con Artemisia Gentileschi siamo a Roma, poi a Firenze e a Napoli nella prima metà del Seicento, tra l'arte di suo padre Orazio e la lezione di Caravaggio. Con Elisabeth Vigée Le Brun siamo in Francia prima della rivoluzione, alla corte di Luigi XVI e di Maria Antonietta, e più tardi in Italia, in Russia, in Inghilterra, mentre il libertino edonismo del Settecento viene sopraffatto dalle ombre del moralismo borghese ottocentesco. Berthe Morisot, modella e poi pittrice, vive nella Parigi di Manet, Degas, Renoir. Anni dopo, Suzanne Valadon è l'amante di Toulouse-Lautrec, la protetta di Degas, e quando nel 1938 morirà a Montmartre, al suo funerale ci saranno Braque e Picasso. Siamo nel cuore nero del Novecento con Charlotte Salomon, arrestata dai nazisti perché ebrea, che morirà a ventisei anni ad Auschwitz, ma prima era riuscita a realizzare febbrilmente in un paio d'anni tutta la sua opera, un'autobiografia in gouaches e tempere. Il libro si conclude nel Messico postrivoluzionario di Frida Kahlo, che sposò il famoso muralista Diego Rivera e fu amica dell'esule Trockij, divenuta un mito femminile planetario a fine Novecento. Nessuna di queste pittrici sfugge alla passione per l'autoritratto. Autoritrarsi, constatare la propria esistenza visibile e rivendicarla, sembra il loro destino e talento, la loro sfida di donne e di artiste in un mondo maschile. Come si sa, in ogni indagine autobiografica ogni artista cerca non solo quello che è ma anche quello che avrebbe voluto o sognato o temuto di essere. Ogni identità di artista è un palinsesto di figure a lungo ossessivamente immaginate. Immaginare la realtà (ripeteva Cesare Garboli) è più difficile che inventarla. Ma anche quando si tratta di finzioni, nessuna finzione può fare a meno di materia reale e delle verità che la realtà nasconde e maschera. È quanto viene in mente leggendo questo libro lucidamente passionale e trascinante di Elisabetta Rasy. In queste storie "dal vero" c'è forse la prova narrativa più compiuta di questa scrittrice: che su di sé non dice una parola, eppure, visibile nello stile, è presente dovunque con l'energia, il ritmo, il fuoco della sua immaginazione interpretativa. Si resta con l'impressione, o meglio la convinzione, che in queste sei artiste la lotta per il riconoscimento e l'identità femminile si sia espressa con la più spavalda, eroica caparbietà creativa.
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