La sera della sua ultima cena, a poche ore dal suo arresto e dalla sua morte, Gesù non cessa di preoccuparsi della nostra felicità. Dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, li invita a fare lo stesso, a lavarsi, d’ora in poi, i piedi gli uni agli altri. «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,16-17).
La via della felicità che qui Gesù traccia è di un’esigenza estrema: non si tratta solo di prendere un catino d’acqua ogni tanto e di superare la ripugnanza per i cattivi odori lavando qualche paio di piedi sporchi, ma proprio di imitare Gesù, di seguirlo ovunque vada. E lui ce lo dice appena prima di dare la sua vita per noi per amore! Se per poter essere felici bisogna fare altrettanto, è una beatitudine un po’ disperante... Ma Gesù non si accontenta di darci una via: ci procura anche il mezzo per riuscirvi. Prima di invitare i discepoli a imitarlo, ha cominciato col prendersi cura di loro. Non li ha invitati a sfinirsi fino all’esaurimento contando solo sulle proprie forze, ma a radicare la loro carità nell’amore stesso di Dio per loro. Non potremmo amare il nostro prossimo se non fossimo stati prima amati da Dio, di un amore infinito, senza condizioni. È questa la prima beatitudine: Beati coloro che sono stati amati!
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