Dove il bosco brucia, solo un abbraccio può salvare le radici
venerdì 28 luglio 2017
Da sud a nord i boschi della nostra penisola bruciano. In questa furia incendiaria, in questo fuoco che divora e cancella terrestri paradisi di natura vegetale, c'è qualcosa di diabolico. È un inferno acceso dall'indifferenza, dall'incuria, dalla stupidità umana e spesso da una calcolata intenzione criminale. La natura, anche nelle sue forme più preziose, innocue e benigne, sembra che ci disturbi come qualcosa di superfluo, come un ostacolo alla nostra volontà di dominio e di controllo, o ai nostri futili capricci. Perché chi distrugge la natura fuori di sé l'ha già distrutta dentro di sé o è impegnato a farlo. Chi desertifica il pianeta ha dentro di sé un deserto. Mentre leggevo e ascoltavo le disperanti notizie sulle “fiamme senza tregua” che riducono in cenere gli alberi, mi sono venuti in mente due libri: Bruciare tutto di Walter Siti (Rizzoli), scrittore di cui sono amico e che non so se definire più “infernale”, o analista ossessivo degli inferni che ci assediano: come sapeva Stanley Kubrick, che si pentì del suo Arancia meccanica, fra la denuncia del male e la fascinazione del male, il confine è labile e incerto (ma il romanzo di Siti non l'ho letto, mi fermo al suo ambivalente titolo). L'altro libro, Abbracciare gli alberi di Giuseppe Barbera (il Saggiatore, pagine 260, euro 17,00), credo che lo leggerò perché lo sta leggendo mia moglie e ne è entusiasta. Qui mi limito a trascrivere qualche riga: «Milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi, per poi passare gran parte del nostro tempo a tagliarli o bruciarli. Da diecimila anni abbiamo anche imparato a piantarli e coltivarli, ma in misura molto minore. […] Ci sono molte buone ragioni per abbracciare gli alberi. Alcuni credono che attraverso questo gesto alberi e uomini entrino in comunicazione: si può dubitarne, purché non si dimentichi che il senso del sacro è nato proprio al cospetto degli alberi, osservando la loro capacità di andare oltre i limiti della comune percezione: le radici in fondo alla terra e le chiome che si perdono nel cielo, la vita che rinasce ogni primavera dopo che è sembrata morire in autunno». Non è così? Ciò che è naturale e reale ha radici, ha un tronco, molti rami e cresce verso l'alto.
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