venerdì 15 novembre 2019
La collana Humana Civilitas delle rinate (o continuate) Edizioni di Comunità fondate tanti anni fa, subito dopo la guerra, da Adriano Olivetti, si dà per compito di mantener viva la memoria di personaggi del Novecento ancora in grado di parlare ai nostri contemporanei, anche se purtroppo a minoranze e non alle maggioranze che solo riescono a toccare coloro che godono di grandi mezzi (in fatto di soldi, di strumenti di comunicazione). E d'altronde, spesso quei personaggi furono anch'essi minoritari, anche quando all'interno di grande organizzazioni o delle istituzioni maggiori. Gli agili volumi già disponibili riguardano figure di grande rilievo morale e di grande attività sociale, politici (Moro), imprenditori delle industrie di stato (Mattei), urbanisti (Quaroni), psichiatri (Basaglia), scrittori (Silone)... Altri seguiranno, dedicati per esempio a Lina Merlin, a Danilo Dolci, a Camilla Cederna. L'ultimo giunto in libreria è l'ottavo e contiene la prima parte di un'autobiografia incompiuta scritta da Vittorio De Sica, ritrovata dai figli e pubblicata una prima volta tre lustri addietro, ora riproposta con il titolo La poetica della verità (pagine 118, euro 10) e accompagnata da una nota di Flavio De Bernardinis. Purtroppo queste gustose memorie si fermano ai primi tempi della Liberazione, alla preparazione di un film tra i più belli di questo regista, Sciuscià, e ai primi tempi della sua collaborazione con Zavattini. Raccontano gli anni dell'affermazione di De Sica quale attore e cantante della compagnia Za-Bum di Mario Mattoli, la carriera d'attore “brillante” con Mario Camerini (l'indimenticabile Gli uomini, che mascalzoni, uno dei rari film rimarchevoli degli anni trenta), gli esordi di regista con i film dei “telefoni bianchi” e l'avventura del cattolicissimo La porta del cielo, grazie alla protezione vaticana nell'area della basilica extraterritoriale di San Paolo che aveva accolto tanti cineasti che non avevano voluto seguire il fascismo negli studi cinematografici veneziani, repubblichini. De Sica attore e regista è stato una presenza fondamentale nella nostra cinematografia. Ha diretto anche film mediocri e brutti, forse per mero opportunismo (era un forte giocatore, gestiva due famiglie). Di Umberto D., il suo film più rigoroso, Buñuel disse di aver apprezzato solo la scena con la servetta che uccide le formiche nel lavandino di una cucina... Fu tuttavia un personaggio imprescindibile della nostra scena teatrale, cinematografica, culturale, e di lui Cesare Pavese ebbe a dire a un giornalista americano che era «il miglior narratore italiano» del dopoguerra. Un giudizio esagerato (avevamo un monte di grandi scrittori allora, e solo una manciata di grandi registi) anche se l'opera e la figura di De Sica hanno campeggiato in trent'anni di storia della nostra cultura e del nostro spettacolo. Ma più che De Sica mi interessa qui segnalare la collana “olivettiana” che intende render giustizia a un nostro Novecento del quale è legittimo e doveroso ricordare le figure migliori, tenendo anche conto della povertà attuale.



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