sabato 9 agosto 2003
Il cuore dell'uomo ingrato assomiglia alle botti delle Danaidi: per quanto bene tu vi possa versare dentro, rimane sempre vuoto. Ho continuato - come ho fatto ieri - a cercare tra i libri della mia giovinezza scolastica e, così, m'è capitato tra le mani un testo di letteratura greca che, quasi su un vassoio, mi ha offerto lo spunto per il "Mattutino" di oggi. Così, infatti, ammoniva Luciano, scrittore greco, nato però in Siria attorno al 120 e morto dopo il 180. Piccola nota previa per spiegare l'immagine delle botti. Le 50 figlie di Danao erano state spinte dal padre a uccidere i loro mariti, i 50 figli di suo fratello Egitto. Per questo delitto, nell'Ade furono condannate al supplizio di riempire eternamente di acqua grossi vasi senza fondo. Per lo scrittore greco il cuore ingrato è come una di quelle anfore o botti: non è mai sazio e mai sa riconoscere il dono che ha ricevuto. Un po' tutti abbiamo fatto questa esperienza che spesso lascia l'amaro in bocca: ti sei impegnato per aiutare e sostenere una persona e non di rado come risultato non hai solo l'oblio ma persino una sorta di recriminazione e di avversione da parte del beneficato. Naturalmente noi stessi abbiamo forse assunto lo stesso atteggiamento in qualche altra situazione, anche se non vogliamo riconoscere il nostro difetto. Cominciamo, allora, prima di tutto a imparare a dire più spesso questa semplice parola: «Grazie!». Coltiviamo la gratitudine per chi ci ha voluto bene, soprattutto nei momenti difficili, quei momenti che vorremmo dimenticare insieme a chi ci ha aiutato. Ma impariamo anche a fare il bene senza aspettarci riconoscenza, imboccando la via della generosità pura. «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Matteo 6, 4).
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