giovedì 11 settembre 2003
Teorema di Thomas: è sufficiente che una cosa sia creduta vera, anche se non è vera, perché essa produca effetti reali. Non so chi sia Thomas, l'autore di questo "teorema" che trovo citato in un opuscolo e che mi sembra simile alle "leggi di Murphy", ironica elencazione di molti vizi privati e pubblici codificata dall'americano A. Bloch. Certo è che l'asserto pur nella sua paradossalità, registra una sorta di costante di cui siamo tutti un po' spettatori e un po' attori. Si tratta, in concreto, di una variante del famoso «Calunniate, calunniate: qualcosa resterà» del Barbiere di Siviglia del drammaturgo francese Beaumarchais. All'origine c'è una falsità: basta solo pacatamente e quietamente propalarla perché essa acquisti i connotati della verità e produca effetti deleteri sulla vittima. E', questa, una considerazione che può applicarsi in generale al peccato. Esso ha una sua capacità propulsiva che allarga a macchia d'olio il suo influsso e i relativi risultati negativi. Anche quando pare una vicenda ristretta al singolo individuo, esso ne inquina il cuore e quindi deforma progressivamente il suo agire. Chi ha cominciato a cedere su un vizio, allarga questa debolezza in modo progressivo, lasciandosi quasi andare, passando di miseria in miseria. Per questo il Salmista esclama: «Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; porrò un freno alla mia bocca"» (39, 2). Altrimenti bisogna ricorrere al controllo esterno, alla critica e alla correzione fraterna, come ancora suggerisce il Salmista: «Non siate come il cavallo e come il mulo privi di intelligenza: si piega la loro fierezza con morso e briglie» (32, 9). Cerchiamo, allora, di impedire che da noi fluiscano superficialmente opere e detti che siano sorgente di male reale e velenoso.
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