domenica 12 febbraio 2017
Parlare di accelerazione è parlare di caduta. La fisica ci ha insegnato questa legge fondamentale: il movimento uniformemente accelerato è quello di un corpo che cade nel vuoto. Chi fa l'elogio dell'accelerazione dei ritmi di vita prende dunque a modello la caduta libera. Spesso senza accorgersene sta celebrando l'ebbrezza del vuoto e dello sfracellamento prossimo venturo. Un recente movimento di idee, l'accelerazionismo, è al corrente di questo fatto. Cerca di favorire l'accelerazione del sistema per affrettarne il cedimento e vedere poi cosa riuscirà a germogliare delle rovine. Marx figura come precursore in questo gioco del «vince chi perde». In un discorso del 1848 il filosofo tedesco presenta il libero scambio come «la libertà del capitale» e dunque come il nemico; tuttavia, si esprime in suo favore, perché, dice, «oggigiorno, il protezionismo è conservatore mentre il sistema del libero scambio è distruttore. Dissolve le vecchie nazionalità e spinge all'estremo l'antagonismo tra borghesia e proletariato. In una parola, il sistema della libertà commerciale affretta la rivoluzione sociale». Fin dal principio appare una torbida alleanza tra la sinistra rivoluzionaria e il liberismo più sfrenato; dato che il sistema produce la propria autodistruzione, gli "anti-sistema" devono essere anche "pro-sistema". Il sociologo Hartmut Rosa ha mostrato bene i modi in cui il fenomeno dell'accelerazione sociale, caratteristico della modernizzazione, termina paradossalmente in una «immobilizzazione ultra-accelerata» o in un'«inerzia strutturale e culturale». Ci sono innanzitutto quelle che egli chiama «decelerazioni disfunzionali» che sono conseguenze dell'accelerazione stessa: l'ingorgo per le automobili ma soprattutto la depressione per l'uomo. Dovendo andare sempre più in fretta, monetizzare al massimo il proprio tempo, sovraccaricarlo di compiti molteplici, fare veramente qualcosa secondo la durata che l'ordine del reale esige diventa impossibile. La depressione, burn-out o bore-out, è una patologia della velocità crescente, simile alla paralisi del pilota da caccia inchiodato al suo seggiolino da una forza G. Ma tale depressione è conseguenza oppure causa della frenesia contemporanea? Non è forse essa stessa a comandare l'innovazione distruttiva e la crescita illimitata come fuga e stordimento di fronte alla perdita dei nostri poteri più umani e all'angoscia della scomparsa totale? Tra i motori dell'accelerazione sociale, Rosa mette ovviamente la logica della concorrenza, parola che rinvia precisamente alla corsa e alla vittoria del più veloce. Ma a questo "motore sociale" si aggiunge secondo lo studioso tedesco un "motore culturale": la "promessa dell'eternità" che è in effetti un succedaneo della vita eterna. Dato che non crediamo più in una vita oltre la morte, tramite l'accelerazione cerchiamo di moltiplicare indefinitamente la nostra vita quaggiù: nel lasso di tempo che ci è dato bisogna accumulare quanto più si può esperienze e metamorfosi. All'infinito escluso ormai per ipotesi si sostituisce un infinito per divisione: un segmento, per quanto piccolo, può matematicamente essere suddiviso senza fine; un soggetto, per quanto finito, può virtualmente frammentarsi in innumerevoli avatar. Così siamo passati da un cambiamento intergenerazionale, dove occorrevano secoli per passare da un'epoca all'altra, a un cambiamento generazionale nella modernità classica, dove la trasformazione si faceva da una generazione all'altra, fino a un cambiamento intragenerazionale con la postmodernità: con il divorzio, la mobilità professionale, il multi-tasking, l'obsolescenza degli oggetti e dei luoghi stessi del nostro quotidiano, con un mondo ridotto infine a strutture "usa e getta", recitiamo ed assistiamo alla commedia di molte rinascite prima dell'ora fatidica. L'"immortale" a cui mira il transumanismo è in questo senso un super-mortale: cerca di stare al passo della cadenza sempre più rapida dell'informazione e dell'innovazione e deve per questo continuamente updatarsi, buttare via il suo vecchio armamentario e il suo vecchio software per acquistare l'ultimo prodotto appena uscito. L'individualità si sbriciola. Al posto di un vero sviluppo organico o narrativo, ogni vita si decompone in un caleidoscopio di "identità situazionali", sequenziali e discontinue, che non entrano in una storia, ma che si sforzano di «restare sulla cresta dell'onda» e di «cogliere l'occasione al volo». Ma questo cambiamento permanente che si opera per se stesso desta un'impressione di surplace. Infatti, come asserito da uno dei primi principi dell'intelligenza, ogni cambiamento suppone un soggetto che resti lo stesso. Se tutto cambia, e molto rapidamente, se niente dura abbastanza a lungo per mettere in evidenza un passaggio, se soprattutto il movimento vale di per sé e non ha altra finalità, il progresso non è allora altro che una crisi di epilessia. Da qui l'incapacità del nostro tempo di fare epoca. Da qui la sua impotenza a trasmettere nient'altro che cose obsolete e nate-morte. Da qui il suo crollo su se stesso, perché se l'innovazione incide su strutture stabili quanto la lingua, il sesso, l'attività manuale, l'agricoltura, e dunque su ciò che rende umana l'umanità, distrugge il fondamento del suo stesso slancio: «Molto più degli antimodernisti radicali, sono il successo e l'onnipresenza dell'accelerazione a scalzare e erodere i presupposti dell'accelerazione futura e la stabilità della società dell'accelerazione». Ecco perché lo scorrere sempre più precipitoso dei meraviglie tecno-liberali corrisponde a quella specie di liquefazione del paesaggio che si opera un istante prima dell'impatto.
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