venerdì 8 gennaio 2016
Èconsuetudine che all'inizio di un anno si esprimano dei propositi e dei progetti, si dica a se stessi come si vuole affrontarlo, gli obiettivi che si vorrebbero raggiungere. L'anno nuovo pone un pensiero grave, in particolare, a chi ancora si sente responsabile, in vario modo e nel suo piccolo, nei confronti dello stato delle cose, di come va il mondo: a chi non accetta le sue presunte regole e il sistema di rapporti tra stati poteri individui che ci viene proposto, anzi imposto, come l'unico possibile da chi ha il potere e da chi lo serve. Capita spesso, in incontri e dibattiti con intellettuali noti e fidati – ma sarebbe abusivo far nomi perché la constatazione riguarda anche un mare di non-intellettuali o di non-noti – di sentirsi dire che non c'è più niente da fare e che il mondo non lo si può più cambiare, tanto meno dal basso, che ha preso una strada il cui tragitto è impossibile modificare. E che dunque non resta altro agli intellettuali, almeno nel cosiddetto Occidente, che analizzare e discutere, pensare e studiare, scrivere, cantare, filmare, illustrare le cose che si sente di poter fare per il proprio piacere o per il proprio tornaconto, senza la fiducia, diciamo così, nella loro ricaduta generale, nella possibilità di spostare sia pur di poco equilibri e tendenze che all'interno di una società (di una nazione come del pianeta) si sono ormai fissati. È messa in discussione, di fatto, ogni azione, la possibilità di contare qualcosa per sé e per gli altri, e si nega a ogni azione la possibilità di incidere. Anche nella difesa degli oppressi, delle vittime dei sistemi di potere che guidano la storia presente, e dei nuovi nati, degli innocenti assoluti rispetto al contesto in cui dovranno crescere (se gli si darà la possibilità di crescere). Questa conclusione non va condivisa, dovrebbe anzi ripugnarci, prima di tutto per la convinzione di una dignità dell'uomo di cui la storia ha pur dato prove, e di cui dà prove anche il presente. Inoltre, se non si mettono in pratica le proprie idee, vuol dire che quelle idee sono un esercizio retorico, che non si tratta di persuasioni profonde. E se si è persuasi che niente serve a niente, allora perché scrivere studiare filmare eccetera? Il risultato è un vivere alla giornata e senza progetto. Ma sia gli individui che le società, senza progetto non possono che impoverirsi e decadere, irrimediabilmente. Le nostre idee, il nostro progetto, non possono che riguardare gli altri – in una visione egoistica se si chiudono agli immediati vicini, in una visione "politica" se riguardano la collettività e, in particolare, coloro che più soffrono della situazione presente, in termini economici e sociali come in termini spirituali e ideali per la sua assenza di verticalità e di profondità, e insomma per la sua bassezza. Anche quando si fosse convinti che si perderà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI