martedì 27 febbraio 2018
Li vedo, questi ragazzi, e quasi non riesco a credere ai miei occhi: è mai possibile che Giulia, liceale cresciuta fra gli agi e il privilegio di una famiglia benestante, stia insegnando la nostra lingua a Rashdur, analfabeta nella lingua madre, proveniente dalla periferia di Dacca, in Bangladesh? Stiamo parlando di uno spettacolo antropologico: la strada che dobbiamo percorrere. La prima è un'adolescente romana dei giorni nostri: allegra, con momenti di tristezza che per fortuna passano presto e tanti interessi pronti a cambiare dalla notte al giorno: una volta la danza, un'altra la musica, e poi adesso questa esperienza di volontariato. Il secondo ha la sua stessa età, ma è come se appartenesse a un mondo diverso. Da bambino viveva in una capanna sui corsi d'acqua dove il padre pescava e la mamma cercava di tenere insieme la numerosa figliolanza. Rashdur nemmeno andava a scuola. Restava sulla riva a giocare con gli amici e talvolta non esitava a compiere qualche piccolo furtarello. Ora eccoli lì, uno davanti all'altro a memorizzare i verbi irregolari, a scegliere le parole colorate, a consultare il vocabolario. A sedici anni non c'è bisogno di timbrare il passaporto per superare le frontiere. Si vola da un ramo all'altro come passerotti, senza dover chiedere il permesso a nessuno.
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