venerdì 31 gennaio 2003
Al mondo c'è una cosa sola peggiore dell'essere oggetto di chiacchiere: non essere oggetto di nessuna chiacchiera. Sempre sarcastico ma anche folgorante lo scrittore inglese (nato a Dublino nel 1854 e morto a Parigi nel 1900) Oscar Wilde. È ciò che subito si percepisce anche in questa battuta del suo capolavoro, Il ritratto di Dorian Gray, amara parabola dell'illusione legata alla giovinezza e alla bellezza e riedizione del mito di Faust. Come è noto, Wilde effettivamente era stato sommerso per tutta la vita da un'onda limacciosa di chiacchiere, che l'avevano alla fine portato anche in carcere. Un'onda da lui sollecitata con comportamenti spesso provocatori ed eccessivi specie per una società puritana com'era quella vittoriana. La sua osservazione merita, però, qualche attenzione. Un importante uomo politico, che fu più volte ministro, mi confessava la malinconia della sua vecchiaia, con un telefono sempre muto, con una scarsa corrispondenza, con l'assenza di interlocutori. Era certamente migliore il tempo in cui era travolto dagli impegni, non aveva respiro tra incontri e discorsi, ed era oggetto di polemiche e persino di attacchi. Anche a livello più modesto, dobbiamo riconoscere che certi piccoli pettegolezzi o critiche o chiacchiere che colpiscono un po' tutti sono sostanzialmente il segno che si è significativi e oggetto di interesse. Certo, la mormorazione diffusa nei villaggi era un difetto, ma era anche segno di una vita comune, di un'attenzione reciproca. Ora, invece, si precipita spesso nell'anonimato, nell'indifferenza, nella solitudine e «non essere oggetto di chiacchiera» è solo indizio di isolamento e disinteresse.
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