mercoledì 21 settembre 2005
Colui che è chiamato a credere deve uscire dalla propria situazione e mettersi a seguire Cristo. Finché Matteo resta alla dogana o Pietro attende alle reti, essi possono esercitare onestamente la propria professione. Ma se vogliono imparare a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio, camminando con Lui. Al protagonista è bastato un solo versetto essenziale per narrare la storia di quell'incontro che avrebbe cambiato la sua vita: «Gesù vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, Gli disse: Seguimi! Ed egli si alzò e lo seguì» (Matteo 9, 9). Nella mia mente quella scena ha i contorni pensati da Caravaggio nella sua straordinaria tela di s. Luigi dei Francesi a Roma: Cristo, illuminato dalla luce radente di una finestra laterale, punta l'indice (citazione dell'indice michelangiolesco della Creazione di Adamo nella Sistina) su uno stupito Matteo, seduto coi colleghi al banco della dogana di Cafarnao, che con una mano al petto sembra chiedere: «Proprio io?». Ebbene, oggi, festa di s. Matteo, abbiamo voluto penetrare nel senso di quell'istante di 2.000 anni fa attraverso le parole del teologo (martire sotto Hitler) Dietrich Bonhoeffer, presenti nella sua opera Sequela. Il monito vale per tutti: per credere e per vivere un cristianesimo autentico bisogna distaccarsi da qualcosa. Anzi, da molto; ci sono parole severe ed esigenti di Gesù al riguardo. Chi pensa di salvare capra e cavoli, di tenere il piede in due staffe, di esercitare la comoda arte del compromesso, di star fermo nel proprio guscio protetto non ha conosciuto cosa significhi la vera scelta cristiana. C'è un «camminare con Lui» per strade pietrose e verso mete ardue; e imboccare questo percorso è tutt'altro che facile e scontato. Il distacco dalla comodità quotidiana è netto e lacerante.
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