mercoledì 24 maggio 2006
Mi sembra che quello di oggi non possa dirsi tanto tempo di fede, quanto tempo di fattucchiere, non tanto tempo di fiducia, quanto tempo di paura. Tutti alla ricerca di segni, per trovare rifugi, ripari contro l'incubo di oscure minacce; sono tempi di grande spettacolo, di grandi parate, ma di poche verità, tempo di apparenze più che di apparizioni. Era la quaresima del 1987 e p. David M. Turoldo saliva il colle della basilica di Monte Berico a Vicenza, invitato dai suoi confratelli Servi di Maria a tenervi una serie di omelie. Eccole ora nel volume Cammino verso la fede (San Paolo), raccolte dalla registrazione. Ho scelto questo brano desunto dalla prima di quelle omelie. Sono parole che ben s'adattano anche ai nostri giorni, fatti più di banalità che di fede autentica, di paure che di speranza, di luoghi comuni che di verità, di spettacolo più
che di sostanza. In particolare vorrei sottolineare l'ultima contrapposizione, quella tra «apparenze» e «apparizioni». Il secondo termine è da assumere nel suo senso più teologico e profondo, quello legato agli incontri pasquali del Cristo risorto coi discepoli. Non è, quindi, una scena che ha come scopo lo straordinario, il prodigioso, il fenomenale, quanto piuttosto lo svelamento profondo di un mistero. Ecco, nei nostri tempi televisivi l'«apparire» è soprattutto il mostrarsi per impressionare, per ingannare, per sbalordire. E si sa che tutto questo è finzione, è - come si suol dire - «realtà taroccata», parvenza ed esteriorità, «apparenza» appunto. Il vero rivelarsi di Dio e l'autentica testimonianza del cristiano sono, invece, un'epifania nella quale si indica un messaggio di vita, si svela una verità, si illustra una strada da seguire nel rigore e nella serietà personale.
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