venerdì 5 novembre 2004
Nella mia vita ne ho passate molte  che, al ricordo, la testa mi gira, e adesso ho compreso distintamente col mio cervello e con la mia anima sofferente che l"uomo o non è destinato a nulla, o a una cosa soltanto: a un amore di abnegazione per il prossimo. Ecco dove noi dobbiamo giungere e qual è la nostra missione.La sua vita e la sua arte sono segnate da un sottile ma costante pessimismo, alimentato anche dalla tubercolosi che lo condurrà alla tomba a soli 44 anni nel 1904: Anton Cechov rimane, comunque, uno dei sommi scrittori russi e al suo Racconto di uno sconosciuto (1898) abbiamo attinto proprio per far brillare una frase di fiducia. È importante quel crocevia che egli delinea, di fronte al quale ogni persona deve compiere la sua svolta: da una parte si dirama la strada del nulla e della disperazione; dall"altra si apre la via dell"amore. Ed è significativo che Cechov non abbia esitazioni nella sua decisione.Vorrei mettere l"accento sulla parola che specifica il suo concetto di amore, «abnegazione». È una parola non molto declinata ai nostri giorni in cui si vuole essere comodi e aver tutto facilmente, senza sforzo e impegno. L"egoismo sembra il vessillo che si inalbera sulla vita, sulla casa, sulla società. Parlare di dedizione, di sacrificio, di rinuncia, di generosità, di disinteresse sembra "passatista". Ed è, invece, solo da questo atteggiamento che cresce e fiorisce l"amore e, alla fine, la serenità interiore e il significato fecondo di un"esistenza. S. Agostino nelle Confessioni scriveva: «L"amore uccide ciò che siamo stati perché si possa essere ciò che non eravamo».
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