domenica 14 agosto 2005
A Efeso, sulla collina dell"usignolo,/ Miryam cantava presso il telaio./ Iehohanan zappava nell"orto,/ e il mare, lontano, era già l"infinito.Sono salito tante volte su quel colle delizioso che incombe sulle splendide e gloriose reliquie del passato di Efeso, la città che aveva sentito risuonare nel suo teatro e nelle sue vie la voce di san Paolo. Là, immersa nel verde, tra il frinire delle cicale, è collocata una chiesetta dedicata a Maria: la tradizione vuole, un po" liberamente, che la madre di Cristo sia giunta qui al seguito dell"apostolo Giovanni e qui abbia chiuso gli occhi alla fine della sua vita terrena. Ho voluto ricostruire questa scena attraverso l"evocazione di un poeta che ho conosciuto  e che spesso mi inviava i suoi scritti, anche prima di pubblicarli, Elio Fiore (1935-2002), desumendo alcuni versi dalla sua raccolta Miryam di Nazareth (Ares  1992).Da un lato, c"è tutta la quotidianità di una vita semplice quale fu quella di Maria: il lavoro e la serenità del cuore che fa affiorare alle labbra il canto. D"altro lato, però, ecco " proprio come si ha a Efeso " in lontananza il mare, simbolo dell"infinito a cui la madre del Signore è destinata. È ciò che ricorda la solennità di domani con Maria che s"addormenta nella pace e suo Figlio la prende con sé per condurla in quell"orizzonte di intimità divina, aperto anche per noi. Ecco, dobbiamo intrecciare queste due dimensioni: la semplicità  fedele alla propria vocazione durante l"esistenza terrena e l"attesa di approdare a quel mare immenso di luce ove " come ricordava san Paolo " «saremo sempre col Signore». Costanza e fiducia, amore e speranza sono le virtù del cristiano che vive e attende l"incontro estremo.
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