LA RANA NEL POZZO
Ti prego, o Dio, di liberarmi. In questo mondo sono come una rana in un pozzo senz'acqua. Signore, tu sei la nostra via di salvezza, tu sei la nostra liberazione! È domenica e vorremmo proporre una sorta di oasi spirituale, in apertura alla sequenza delle notizie non certo esaltanti che la quotidianità ci offre. Migriamo idealmente lontano dalla nostra terra e dalla nostra spiritualità: la preghiera, semplice e intensa, sopra citata è desunta da una delle Upanishad (in sanscrito "sedute segrete"), trattati sacri della religione indù. Il titolo del trattato da noi oggi usato è Maitrí, un termine che indica "misericordia, tenerezza, benevolenza". Siamo nel VI sec. a.C. e l'autore invoca il Signore sorgente di salvezza e di liberazione perché la creatura umana si sente prigioniera e in pericolo. Ecco, allora, l'immagine adottata per descrivere questo stato di amarezza: noi siamo come rane in un pozzo senz'acqua. Il mondo è visto, dunque, come un deserto arido, senza vita, destinato a soffocarci. La rana è festosa e saltella piena di vigore quando sguazza nell'acqua, ma nella steppa si intristisce e si spegne. Così ci sentiamo talvolta anche noi, immersi in un'esistenza grigia e senza approdi di luce, ripetitiva e monotona, inseriti in una società gretta e violenta, in una storia che sembra non conoscere pace e significato, speranza e serenità. Sale, allora, l'invocazione a un Altro che dall'alto ti sollevi perché tu, da solo, non puoi
estrarti dal pozzo senz'acqua del mondo alzando nel vuoto le mani.
estrarti dal pozzo senz'acqua del mondo alzando nel vuoto le mani.
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