Fumarola: «Passare ai fatti. Meloni ci convochi per una manovra espansiva»
La segretaria Cisl: urgente un nuovo Patto sociale per alleggerire le tasse sul ceto medio e varare entro l'autunno un piano industriale nazionale. I salari languono, vanno rinnovati i contratti

Segretaria Daniela Fumarola, in questo mese di agosto si è parlato molto dell’aumento dei prezzi e di come tutelare i redditi dall’inflazione. Da dove bisogna partire secondo la Cisl?
Serve una nuova politica espansiva dei redditi, fondata su metodo, equità e concertazione - risponde la segretaria generale della Cisl (che domani sarà al Meeting di Rimini) -. La prima leva è il rinnovo dei contratti collettivi: parliamo di circa 2,5 milioni di lavoratori del settore privato e di tutto il pubblico, scuola compresa. Va, poi, stabilito il diritto di tutti i lavoratori a un salario di produttività, volto a redistribuire stabilmente a livello aziendale o territoriale gli aumenti di valore aggiunto dei risultati ottenuti anno su anno. Allo stesso tempo bisogna intervenire su prezzi e tariffe, contrastare la speculazione, alleggerire la pressione fiscale sui redditi medi e popolari, evitando che si allarghi il divario tra costo della vita e salari.
Pensionati e lavoratori sono stati i più colpiti dall’inflazione.
Per questo occorrono detrazioni più alte fino a 60mila euro, riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35 al 32%, una fiscalità che premi la produttività, tassando di più le grandi rendite.
A breve entrerà nel vivo il confronto sulla manovra. Cosa chiedete?
È urgente un nuovo Patto sociale, come avvenne negli anni Novanta, con un programma e obiettivi condivisi. Lo abbiamo chiesto con forza al nostro congresso di luglio, dove la premier Meloni ha manifestato apertura al dialogo sociale. Bisogna passare ai fatti: un primo passo è la celere apertura di un confronto sui contenuti della legge di Bilancio. Noi porteremo le nostre proposte con pragmatismo e autonomia. Bisogna anche stabilizzare la dotazione finanziaria dedicata alla legge sulla partecipazione dei lavoratori, rafforzare gli incentivi all’occupazione femminile, investire in infrastrutture soprattutto al Sud, nella sanità, nella scuola, nella non autosufficienza.
Esistono davvero le condizioni per un grande patto sociale?
Il sindacato e le altre parti sociali, congiuntamente alla politica, devono indirizzare il cambiamento, per evitare di vederselo imposto dall’esterno o di dover solo gestire le ricadute sociali relative. Questo è il senso del Patto che proponiamo e che dovrà mettere al centro la qualità del lavoro, la coesione sociale e territoriale, i salari e la produttività, le nuove tutele. La via del dialogo e della partecipazione richiede il coraggio di scelte concrete, anche quando sembrano impopolari. Solo così si costruisce futuro; altrimenti si rischia di cadere nella sterile denuncia o negli slogan fini a se stessi.
Da dove partirebbe lei?
Primo: la salute e sicurezza sul lavoro. È stato fatto molto, ma serve una strategia nazionale di prevenzione e formazione, oggi manca. Secondo: accelerare lo sviluppo del Paese, coinvolgendo i lavoratori nelle scelte aziendali. La partecipazione è la vera sfida per far crescere la produttività, senza crescita non c’è redistribuzione. Terzo: fronteggiare l’impatto dei dazi con misure concrete a tutela di lavoro e produzione, unendo il Paese.
Sulle pensioni c’è il rischio di un innalzamento dell’età oltre i 67 anni?
Le pensioni si cambiano solo con il sindacato, attraverso un percorso condiviso. È tempo di un sistema più equo e flessibile, che tuteli chi già percepisce la pensione e dia certezze ai giovani e alle donne. Bisogna rendere operativa la pensione contributiva di garanzia, confermare ed estendere l’Ape sociale, introdurre sconti contributivi per le madri lavoratrici, riformare “Opzione donna” in chiave meno penalizzante. E la flessibilità in uscita presuppone un’estensione effettiva della previdenza complementare specie nei confronti di donne e giovani, oggi i meno “coperti”, che va sostenuta fiscalmente.
Dazi e transizioni industriali: che cosa chiedete?
A livello europeo bisogna proteggere le filiere più esposte, come avvenne durante il Covid. Ma servono politiche industriali lungimiranti: investimenti in tecnologia, competenze, ricerca, per aumentare la produttività e migliorare le retribuzioni. Attendiamo da tempo un piano nazionale industriale, che va varato entro l’autunno. Bisogna partire da un forte investimento nel capitale umano per essere all’altezza dell’innovazione ed evitare che molti lavoratori siano condannati a essere marginalizzati.
Sul futuro dell’ex Ilva la pre-intesa istituzionale vi convince?
No, è insufficiente. Non chiarisce tempi, risorse e modalità di attuazione. Per noi i nuovi impianti devono nascere a Taranto, per salvaguardare occupazione e continuità produttiva. È fondamentale un piano industriale chiaro per tutti gli stabilimenti. Non si può mettere in contrapposizione ambiente, lavoro e sicurezza: vanno tenuti insieme.
L’occupazione è ai massimi, ma i problemi restano.
I numeri sono incoraggianti, ma troppi giovani vivono di lavori precari e malpagati, con il risultato di una fuga all’estero e un alto numero di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano, ndr). Servono intanto anche misure immediate: abolire i tirocini extracurricolari, rilanciare l’apprendistato duale, rafforzare gli Its, rendere strutturali le politiche attive, oggi contenute nel programma Gol. E rendere il lavoro stabile più conveniente di quello a termine, destinando le risorse così incassate a una pensione di garanzia per i giovani.
Infine, restano i fronti di guerra, Ucraina e Medio Oriente.
È uno scenario drammatico. Non possiamo lasciare il pallino a Trump e Putin: serve una pace giusta, che non sacrifichi la libertà del popolo ucraino. L’Europa deve contare di più, rafforzando la propria autonomia strategica e parlando con una voce sola. Siamo e saremo al fianco di Kiev e di tutti i popoli minacciati da un nuovo ordine mondiale che calpesta democrazia e diritto internazionale. In Medio Oriente occorre fermare le armi, garantire aiuti umanitari, aprire negoziati veri con la rappresentanza democratica palestinese.
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