Draghi scuote l'Europa: basta tabù, ora azioni straordinarie
L'ex presidente della Bce duro: Unione senza progetti, così perde sovranità. E ancora: il nostro modello di crescita sta svanendo e le vulnerabilità stanno aumentando. Von der Leyen: decid

Parole nette. Parole scandite. I leader europei dovranno mettere in campo «azioni straordinarie» adatte ai «tempi straordinari» che viviamo. Mario Draghi scuote l'Europa. La invita a dire basta meline. Basta timidezze. Ad abbandonare le «ampie strategie» per passare, prima che sia troppo tardi a «date concrete» e «risultati misurabili» riformandosi e infrangendo quei «tabù» che altri hanno già ampiamente infranto. Bruxelles (e dunque l'Europa) ascolta in silenzio l'ex premier e presidente della Bce. La conferenza dedicata alla presentazione del suo rapporto, avvenuta un anno fa e voluta da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, si trasforma in un'occasione unica per riflettere. E magari per rialzarsi. Draghi spinge. Chiede coraggio alla Unione. Perchè il percorso che l'Europa deve fare se vuole reggere il confronto con le grandi potenze «infrangerà tabù di lunga data. Ma il resto del mondo ha già infranto i propri. Per la sopravvivenza dell'Europa, dobbiamo fare ciò che non è mai stato fatto prima e rifiutarci di essere frenati da limiti autoimposti». Non basta. Dobbiamo andare oltre le «strategie generali e le tempistiche dilazionate. Servono date concrete e risultati misurabili, e dobbiamo essere chiamati a risponderne. Le scadenze devono essere abbastanza ambiziose da richiedere vera concentrazione e sforzo collettivo». Al suo fianco c'è la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Annuisce. Approva. Così come ogni singolo Stato membro ha approvato il rapporto Draghi. E così come ha fatto il Parlamento europeo. «Sappiamo tutti cosa deve essere fatto. I cittadini d'Europa si aspettano che la nostra democrazia decida, agisca e mantenga le promesse. E so che l'Europa può farcela. Perché abbiamo già dimostrato cosa è possibile quando abbiamo l'ambizione, l'unità e l'urgenza».
Sono passati dodici mesi da quando Draghi mise la testa sul rapporto sulla competitività. E un anno dopo l'Europa si trova in una situazione ancora più difficile. «Il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. E non c'è un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. E ci è stato ricordato, dolorosamente, che l'inazione minaccia non solo la nostra competitività ma la nostra stessa sovranità». Parole accorate. Un messaggio che suona come un ultimatum: Europa sveglia, così stai morendo. Draghi rileva come gli impegni per la difesa presi dall'Ue nel corso dello scorso anno «si aggiungono a fabbisogni di finanziamento già enormi. I requisiti di investimento annuali per il 2025-31 vengono stimati a quasi 1.200 miliardi di euro, in aumento dagli 800 miliardi di un anno fa. La quota pubblica è quasi raddoppiata, dal 24 al 43 per cento: 510 miliardi di euro extra all'anno, poiché la difesa è principalmente finanziata pubblicamente... Lo spazio fiscale è scarso: anche senza questa nuova spesa, il debito pubblico dell'Ue è destinato ad aumentare di 10 punti percentuali nel prossimo decennio, raggiungendo il 93 per cento del Pil. E tutto si basa su ipotesi di crescita più ottimistiche della realtà odierna».
Draghi riflette allargando lo sguardo. Ammette che l'accordo sui Dazi non è stato un buon accordo: «La dipendenza dagli Stati Uniti per la difesa è stata citata come uno dei motivi per cui abbiamo dovuto accettare un accordo commerciale in gran parte alle condizioni americane». Non è il momento di inutili prudenze. Ma di dire le cose come stanno. «Troppo spesso, vengono trovate scuse per la nostra lentezza. Diciamo che è semplicemente così che è costruita l'Ue, che un processo complesso con molti attori deve essere rispettato. A volte, l'inazione viene persino presentata come rispetto per lo stato di diritto. Penso che sia inerzia». E allora? Allora serve un percorso diverso. Che «richiede nuova velocità, scala e intensità. Significa agire insieme, non frammentando i nostri sforzi. Significa concentrare le risorse dove l'impatto è maggiore. E significa ottenere risultati in mesi, non anni». Si ferma su quelle ultime parole. Mesi non anni. «Abbiamo bisogno di date e risultati concreti, e di essere ritenuti responsabili per essi», insiste l'ex capo della Banca centrale europea. E questo lo dobbiamo ai cittadini europei. E per questo serve un cambio di passo. «Le scadenze dovrebbero essere abbastanza ambiziose da richiedere una reale concentrazione e uno sforzo collettivo. Questa è stata la formula alla base dei progetti di maggior successo dell'Europa: il mercato unico e l'euro. Entrambi hanno compiuto progressi attraverso fasi chiare, traguardi precisi e un impegno politico costante. I cittadini europei chiedono ai loro leader di alzare lo sguardo dalle preoccupazioni quotidiane e rivolgere lo sguardo al loro destino comune europeo, comprendendo la portata della sfida. Solo l'unità di intenti e l'urgenza della risposta dimostreranno che sono pronti ad affrontare tempi straordinari con azioni straordinarie».
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