giovedì 7 marzo 2019
Durante il tradizionale incontro con il clero capitolino, svoltosi in forma di liturgia penitenziale, Francesco ha fatto riferimento alla piaga della pedofilia. Il Pontefice ha anche confessato
il Papa al confessionale durante l'incontro con il clero romano (Foto Vatican News)

il Papa al confessionale durante l'incontro con il clero romano (Foto Vatican News)

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Ha voluto che il tradizionale incontro con i sacerdoti della diocesi di Roma si tenesse quest’anno nella forma della liturgia penitenziale. E parole di penitenza, Francesco, ha pronunciato egli stesso, nella Basilica di San Giovanni in Laterano dove ha anche confessato alcuni presbiteri. Penitenza e contrizione, ancora una volta, per il triste scandalo della pedofilia sacerdotale, proprio mentre dalla Francia giungeva la notizia della condanna e delle dimissioni del cardinale Philippe Barbarin. «Sento di condividere con voi – ha detto il Pontefice – il dolore e la pena insopportabili che causano in noi e in tutto il corpo ecclesiale l’onda degli scandali di cui i giornali del mondo intero sono ormai pieni. È evidente che il vero significato di ciò che sta accadendo è da cercare nello spirito del male, nel Nemico, che agisce con la pretesa di essere il padrone del mondo».
Tuttavia il Papa ha invitato anche a non scoraggiarsi. «II Signore – ha aggiunto – sta purificando la sua Sposa e ci sta convertendo tutti a sé. Ci sta facendo sperimentare la prova perché comprendiamo che senza di Lui siamo polvere. Ci sta salvando dall’ipocrisia, dalla spiritualità delle apparenze. Egli sta soffiando il suo Spirito per ridare bellezza alla sua Sposa, sorpresa in flagrante adulterio». Di qui la necessità di «un umile pentimento», che «rimane silenzioso tra le lacrime di fronte alla mostruosità del peccato e all’insondabile grandezza del perdono di Dio». E questo pentimento «è l’inizio della nostra santità».
Francesco ha anche esortato: «Non abbiate timore di giocarvi la vita al servizio della riconciliazione tra Dio e gli uomini: non ci è data alcun’altra segreta grandezza che questo donare la vita perché gli uomini possano conoscere il suo amore. La vita di un prete è spesso segnata da incomprensioni, sofferenze silenziose, talvolta persecuzioni. E anche peccati che soltanto Lui conosce. Le lacerazioni tra fratelli della nostra comunità, la non-accoglienza della Parola evangelica, il disprezzo dei poveri, il risentimento alimentato da riconciliazioni mai avvenute, lo scandalo suscitato dai comportamenti vergognosi di alcuni confratelli, tutto questo può toglierci il sonno e lasciarci nell’impotenza. Crediamo invece nella paziente guida di Dio, che fa le cose a suo tempo, allarghiamo il cuore e mettiamoci al servizio della Parola della riconciliazione», evitando anche atteggiamenti come quello dell’«essere devoti dello specchio», cioè di piacersi troppo.
Il Papa ha voluto sottolineare che una delle preghiere di un sacerdote al Signore deve essere quella di custodire la sua nudità. «Dio conosce la nostra “vergognosa nudità” – ha spiegato – eppure non si stanca di servirsi di noi per offrire agli uomini la riconciliazione. Siamo poverissimi, peccatori, eppure Dio ci prende per intercedere per i nostri fratelli e per distribuire agli uomini, attraverso le nostre mani per nulla innocenti, la salvezza che rigenera».
Al termine papa Bergoglio ha esortato i sacerdoti a contribuire generosamente alla campagna “Come in cielo così in strada”, con la quale la Caritas diocesana intende rispondere a tutte le forme di povertà. «Quest’anno vi chiedo un impegno ancora maggiore», ha detto.


L’incontro, iniziato alle 11, era stato aperto da una meditazione del cardinale vicario Angelo De Donatis, che aveva auspicato: «Il tempo liturgico che vivremo ci chiederà di essere ministri di riconciliazione, ambasciatori e diaconi del perdono di Dio per tutti i nostri fratelli. Diremo ad alta voce nelle nostre comunità: “vi supplichiamo, in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!” Inviteremo tutti a chiedere perdono, con umiltà, a Dio e ai fratelli del male compiuto». Il suo discorso era poi proseguito con un commento a tre brani dell'Antico Testamento: quello relativo alla manna nel deserto, quello del vitello d'oro e il terzo, tratto dal libro dei Numeri, che narra della paura degli Israeliti quando si trovano di fronte ai nemici percepiti come giganteschi, una volta arrivati alla Terra Promessa. Per ognuno dei tre brani De Donatis ha proposto una lettura attualizzante, in riferimento al ministero sacerdotale.



In relazione al primo ad esempio, ha fatto notare: "Nonostante l'organizzazione faticosa delle nostre parrocchie e l'impegno che mettiamo dentro le 'mille cose da fare', abbiamo ancora fame". E allora si cerca altrove, "disposti a tutto pur di mettere sotto i denti qualche cibo, non importa se ci avvelena o no... Ci accontentiamo del cibo della schiavitù", mentre "solo Dio e la sua Parola, solo il regno di Dio e la sua giustizia, sono in grado di nutrirci il cuore. Sono il pane del Cielo".

Tra i mali da evitare, dunque, il cardinale vicario ha elencato il "limitarsi al minimo indispendabile", il "lasciarsi prendere dalle cose organizzative", il " rifugiarsi nell'appartenenza ad un gruppo o ad una realtà ecclesiale dove ci sentiamo più a nostro agio", lo sdoppiarsi tra ministero e vita personale.

L'episodio del vitello d'oro, invece, secondo il cardinale, deve insegnare che "la percezione dell'essere abbandonati da Dio e la convinzione di poter contare solo sulle forze del nostro "io", personale o di gruppo, sono portatrici di conseguenze molto negative nella vita di noi presbiteri". "Abbiamo esperienza sufficiente - ha aggiunto De Donatis - per sapere che siamo peccatori e che da soli siamo anche ciechi. Ma questo apre una stagione formidabile, davvero sinodale, della nostra Chiesa, nella quale, deposta ogni pretesa di autosufficienza, ognuno si mette in ascolto degli altri, di quella luce che il Signore dona soprattutto ai piccoli e i poveri, interrogandosi con onestà e senza filtri su cosa voglia il Signore da noi, dalla sua Chiesa".

Infine, per ciò che concerne l'episodio tratto dal Libro dei Numeri, il vicario di Roma ha messo in guardia contro la mancanza di fiducia in Dio, che può prendere anche i sacerdoti. È "un'altra variabile del vitello d'oro - ha sottolineato -, del contare cioè sulle nostre forze più che nella provvidenza di Dio che guida la storia". E può esprimersi in diverse forme. Ad esempio un atteggiamento umiliante verso i giovani. "Perché abbiamo smesso di interrogarci sulle loro assenze dalla comunità? Perché non si trovano mai nei nostri consigli pastorali? Perché non li andiamo mai a trovare nella scuola o nei loro luoghi di raduno per provocarli, chiedergli di esprimersi e farci dire quando sentono la presenza di Dio, cosa li colpisce del Vangelo di Gesù, come dovrebbe essere la Chiesa per essere a loro misura". Allo stesso modo bisogna evitare, ha concluso il cardinale, di "essere diffidenti verso i laici, non delegare, accentrare tutto nelle nostre mani, forti della presuntuosa convinzione che la nostra volontà coincida con la volontà di Dio. Spesso non siamo né saggi né prudenti, ma solo impauriti di perdere il nostro ruolo centrale".

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