Leone XIV: Dio doni pace ai popoli che vivono la tragedia della guerra
Nuovo invito alla preghiera per invocare la pace. Nella catechesi il Papa ha preso spunto dal momento in cui Gesù rivela che uno dei Dodici lo tradirà. "L'amore vero non può fare a meno della ver

Prima la preghiera d’intercessione di papa Leone XIV a san Massimiliano Maria Kolbe, perché ci sia “pace per tutti i popoli che vivono la tragedia della guerra”, davanti a centinaia di fedeli polacchi. Poi il saluto ai pellegrini di lingua araba, provenienti dall’Iraq e dalla Terra Santa, con l’invito ad “aprire il cuore al Signore”, che “ci dona sempre una nuova opportunità per ricominciare”.
E’ stata un’udienza generale “diffusa” quella di stamattina, spostata in Aula Paolo VI per il caldo estremo dell’agosto romano, con i fedeli che hanno seguito la catechesi del Papa anche dalla Basilica di San Pietro e dai maxischermi fuori dalla Sala Nervi. “Grazie per la pazienza”, ha esordito intorno alle 10 il Pontefice entrando in Aula, tra gli applausi di affetto dei migliaia di presenti da tutto il mondo, dopo essere passato in Basilica per un primo saluto ai pellegrini che lo attendevano.
Dalle proprie fragilità la via per la rinascita
Dal dolore per le proprie fragilità alla conversione davanti alla misericordia di Dio. “Oggi ci fermiamo su una scena intima, drammatica, - ha iniziato il Papa sul capitolo 14 del Vangelo di Marco, - ma anche profondamente vera: il momento in cui, durante la cena pasquale, Gesù rivela che uno dei Dodici sta per tradirlo”. Continuano le catechesi del ciclo giubilare, con la seconda meditazione sui brani della passione, morte e resurrezione di Gesù, dal titolo “Gesù Cristo nostra speranza”. Dopo la preparazione della “sala al piano di sopra” per la Pasqua, su cui la catechesi del Pontefice si è concentrata lo scorso mercoledì, oggi la riflessione si è incentrata sul tema del tradimento (Mc 14,19).
Sono “parole forti” quelle pronunciate da Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena, ma, ha sottolineato papa Prevost, il Signore “non le pronuncia per condannare, ma per mostrare quanto l’amore, quando è vero, non può fare a meno della verità”. Nello spazio di pochi secondi, dunque, la sala della mensa “dove poco prima tutto era stato preparato con cura, si riempie all’improvviso di un dolore silenzioso, fatto di domande, di sospetti”. E’ il dolore del tradimento, che l’essere umano ben conosce, che si insinua tra i presenti.
Eppure, in quel momento di dramma silenzioso, ha continuato il Vescovo di Roma, “ il modo in cui Gesù parla di ciò che sta per accadere è sorprendente. Non alza la voce, non punta il dito, non pronuncia il nome di Giuda. Parla in modo tale che ciascuno possa interrogarsi. Ed è proprio quello che succede: «Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: “Sono forse io?»”. “Sono forse io?”. E’ la domanda di senso “forse tra le più sincere che possiamo rivolgere a noi stessi. Non è la domanda dell’innocente, ma del discepolo che si scopre fragile”.
Vivere non più da traditori, ma da figli amati
Proprio quel riconoscersi fragili e tristi per il male compiuto, come accade ai discepoli durante l’ultima cena, “diventa un luogo di conversione”. “Il Vangelo non ci insegna a negare il male, ma a riconoscerlo come occasione dolorosa per rinascere”, ha aggiunto. Allora si può leggere il grido di Gesù, che rompe il silenzio dicendo: “Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!”, non come una maledizione, “ma piuttosto un grido di dolore” di un Dio che “accetta di soffrire”, “non si vendica ma si addolora”. Quando l’uomo tradisce, dunque, guardando al dolore di Cristo, ha l’occasione propizia per riconoscere i propri limiti, e “finalmente nascere di nuovo”, perché “la fede non ci risparmia la possibilità del peccato, ma ci offre sempre una via per uscirne: quella della misericordia”.
Gesù “non si scandalizza davanti alla nostra fragilità”, ha concluso il Papa davanti a un centinaio di novelli sposi, e per questo “anche noi possiamo chiederci oggi, con sincerità: “Sono forse io?”. Non per sentirci accusati, ma per aprire uno spazio alla verità nel nostro cuore”. Nel Giubileo della Speranza, la certezza è quella di poter fallire, cadere, tradire, ma di poter sempre “rinascere”, iniziando a “vivere non più da traditori, ma da figli amati”.
I saluti ai fedeli presenti in Aula Paolo VI e in Basilica
Al termine dell’udienza il Papa ha salutato i pellegrini di lingua tedesca e spagnola, quelli arrivati da Brasile e Portogallo, e i fedeli italiani da Verona, Modena, Manerbio e Milena, incoraggiando ciascuno “a progredire nell’integrità e nella purezza di fede e di vita”. Un ultimo pensiero è stato per gli ammalati, gli sposi presenti e per i giovani partecipanti al Campo internazionale dell’Opera per gioventù «Giorgio La Pira»”. Dopo i saluti agli sposi novelli, papa Prevost si è spostato nella Basilica di San Pietro, dove ad attenderlo c'erano migliaia di persone. "Se tutti avete ascolato la catechesi avete sentito che Gesù non ci abbandona mai. - ha detto il Papa davanti all'altare della Cattedra - Allora vogliamo vivere questo momento rinnovando lo spirito di Speranza, che è tanto importante in questo anno giubilare. Che Dio ci accompagni tutti".
© RIPRODUZIONE RISERVATA





