La bandiera ucraina in piazza San Pietro al termine del primo Regina Coeli di papa Leone - Gambassi
«La pace è ciò che desidera di più l’Ucraina. E Leone XIV lo ha ben chiaro. Per questo gli siamo grati per le parole che durante il suo primo Regina Coeli ha dedicato agli orrori in cui il nostro Paese è immerso». L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, segue con attenzione i primi giorni di pontificato di papa Prevost. Soprattutto dopo il suo saluto dalla Loggia delle benedizioni con il forte appello alla pace. Domenica, al termine della preghiera mariana, il richiamo al Paese invaso dalla Russia. «“Amato popolo ucraino”, un’espressione che ci colpisce – dice il diplomatico –. Si affianca a quella di papa Francesco che ci ha accompagnato nei tre anni di guerra: “Martoriata Ucraina”. Papa Leone ha confidato di portare nel cuore le sofferenze della nostra gente. Mi sento di dire che anche noi portiamo nel cuore il nuovo Pontefice che già sentiamo particolarmente vicino alla nostra nazione ferita».

L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash - Facebook
Il Papa ha subito invocato una “pace autentica, giusta e duratura”. «Ho già trasmesso all’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky il testo dell’intero intervento – riferisce Yurash –. Quanto chiede il Papa è ciò che sogna l’Ucraina: la fine di un’aggressione che vuole distruggere il Paese». Non solo. Leone ha chiesto anche che “siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie”. «Sono due temi su cui l’Ucraina è molto sensibile – afferma l’ambasciatore – e che hanno visto la Santa Sede svolgere un contributo cruciale. Tuttavia il nuovo Papa è andato oltre. Si è appellato in modo ufficiale e risoluto per un rimpatrio senza condizioni».
Scambio dei detenuti e restituzioni dei ragazzi sono gli ambiti al centro della “diplomazia umanitaria” targata Vaticano, uno dei pochi canali che fa dialogare Kiev e Mosca. «Nelle parole di papa Leone – sottolinea Yurash – leggo la volontà della Santa Sede di proseguire con risolutezza nei suoi sforzi. Anzi, direi di incrementarli, ricorrendo a tutte le opportunità di cui il Vaticano dispone. E una di quelle è la missione di pace del cardinale Matteo Zuppi che ha aperto porte importanti». L’azione della Santa Sede prosegue sottotraccia. «Ogni settimana, ogni mese, ogni volta che c’è la possibilità, facciamo giungere in Vaticano le liste con i nomi di prigionieri o bambini perché arrivino sui tavoli negoziali attraverso i percorsi ecclesiali. E quando nei rimpatri ci sono i nomi che erano contenuti negli elenchi consegnati alla Santa Sede, ci rendiamo conto di quanto bene faccia la Chiesa e quale sia il suo spessore diplomatico».
Uno “peso specifico” che gli appelli di Leone XVI a fermare le armi rilanciano. «La questione delle guerre interroga tutti i leader mondiali- dice il diplomatico ucraino –. Però le parole del Papa non hanno soltanto un valore morale ma politico. Sono persuaso che la determinazione di Leone consentirà alla Santa Sede di avere un suo ruolo specifico nel processo di pace in Ucraina che, mi auguro, porti a una soluzione duratura e che ha bisogno del coinvolgimento di tutte le parti». Anche perché, conclude l’ambasciatore, «la Santa Sede ha già fatto moltissimo in questi anni di conflitto: non soltanto con i continui richiami di papa Francesco, ma appunto con gesti e azioni concrete. L’ultima è stata ammirata da tutto il mondo: l’incontro fra il nostro presidente Zelensky e quello statunitense Donald Trump nella Basilica di San Pietro. Un grande risultato, raggiunto anche grazie all’apporto della Santa Sede. Ecco perché il Vaticano resta un interlocutore privilegiato per l’Ucraina e il suo impegno è per noi essenziale».