Via dal conformismo dello «sballo»
martedì 29 agosto 2017

Devo confessarlo: da insegnante, d’estate non sento la mancanza dei miei studenti. Le vacanze rappresentano quel momento di distacco salutare che porta poi docenti e ragazzi a ritrovarsi a settembre, pronti a ripartire con rinnovato slancio per un altro anno insieme. Tuttavia ogni tanto mi capita, anche se sono in ferie, di pensare a loro. Mi chiedo che cosa staranno facendo, come staranno impiegando questo tempo di riposo così prezioso per rigenerarsi. Non ho potuto fare a meno di pensare ai miei alunni nei giorni scorsi, di fronte alle notizie di ragazzi morti all’improvviso quando il loro tempo doveva essere quello della spensieratezza e del divertimento.

Adele, la sedicenne di Genova morta dopo aver assunto una pasticca di ecstasy, aveva la stessa età dei ragazzi che ho salutato a giugno. Anche lei avrà detto arrivederci ai suoi professori, con la certezza che li avrebbe rivisti di lì a poche settimane. È una notizia che non può non destare profonda amarezza, quando si pensi a come ci voglia davvero poco per rovinarsi. Niccolò aveva invece 22 anni, ed è stato ucciso in un pestaggio senza motivo in una discoteca a Lloret de Mar. Alcuni anni fa mi capitò di pernottare in quella cittadina spagnola con una classe in viaggio d’istruzione.

Cedetti, con la collega che era con me, alla richiesta dei ragazzi di una serata in discoteca: chissà, forse la stessa... È andata meglio , nel senso che è qui a raccontare l’assurdità di quanto accaduto, a Daniele, il 24enne veneto finito in coma (e ora fortunatamente uscitone), per i pugni ricevuti, sempre in una discoteca, da uno sconosciuto. Il problema non è, ovviamente, la discoteca o lo svago in sé, quanto piuttosto l’idea che in certi contesti lo 'sballo' sia qualcosa di normale. Parliamo degli stupefacenti, ma anche dell’alcol, il cui abuso, magari anche solo occasionale, da parte di giovani e adolescenti costituisce una vera e propria emergenza sociale, sanitaria, educativa. Oggi molti ragazzi coltivano la convinzione diffusa e generalizzata che 'sballare' ogni tanto sia in fondo qualcosa di normale e che non farlo equivarrebbe a privarsi di un’esperienza comune. Non credo – anzi, sono convinto esattamente del contrario – che la droga abbia mai fatto bene a qualcuno, ma c’è stato un momento storico in cui passò il grosso equivoco che essa potesse dare adito a una sorta di 'liberazione' del proprio io profondo, della percezione, della creatività.

Alcuni decenni orsono (diciamo, grosso modo, tra 1968 e 1977) sui muri delle aule universitarie poteva capitare di leggere slogan come questo: 'Il potere è allergico all’acido lisergico'. Fare esperienza di certe sostanze sembrava ad alcuni un modo per sottrarsi al controllo del 'potere'. Ma quale potere? Già nei primi anni 70 del Novecento Pier Paolo Pasolini aveva lucidamente intuito che il «nuovo Potere» (con l’iniziale maiuscola, come scrive sempre questa parola negli Scritti corsari) non era più quello politico o, come poteva essere stato in passato, quello religioso. Nella sua visione (ma, oggi a maggior ragione, come potremmo dargli torto?), a dominare la società era il potere economico, un’ideologia ateistica e materialistica, un edonismo consumistico ormai diventato conformismo di massa. Ebbene, se quaranta o cinquant’anni fa qualcuno (evidentemente sbagliando) poteva intendere certe scelte come qualcosa di 'anticonformista', oggi ciò non è davvero più possibile.

Le statistiche ufficiali sono allarmanti: in Italia nel 2016 il 33% degli studenti delle scuole medie superiori (dai 15 ai 19 anni d’età) ha provato almeno una sostanza illegale, soprattutto cannabis e droghe sintetiche, ma anche eroina, con un non trascurabile ritorno in auge di quest’ultima sostanza (sono i dati trasmessi nei giorni scorsi alle Camere dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri). Facciamo capire ai nostri ragazzi che il vero conformismo oggi sarebbe proprio cedere a questo genere di inviti.

Che esiste un divertimento sano e bello, e che lo 'sballo' è il suo opposto. Assumere sostanze o ubriacarsi porta all’isolamento, anche quando il rito è collettivo, mai a un’autentica comunicazione. Che le fragilità emotive e i problemi personali non si risolvono attraverso momenti di incoscienza, i quali non fanno altro che congelarli per poi amplificarli. Come educatori, genitori e insegnanti, non stanchiamoci mai di ribadire – con le parole e prima ancora, per quanto ne siamo capaci, con l’esempio – che non ci può essere felicità senza libertà.

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