mercoledì 18 agosto 2010
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L’estate è per molti italiani il tempo del distacco dalla città e dalla sua vita frenetica, che si tratti di trascorrere un periodo di tempo più o meno lungo in campagna, montagna o mare, o di semplici gite giornaliere o passeggiate nella natura. Quanto basta per rendere evidenti ai nostri occhi le differenze tra i due contesti di vita. «Spaghettizzatevi. Ovunque viviate, qualsiasi lingua parliate vivete all’italiana», titolava Dirk Schumer in un articolo sull’Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitung di qualche tempo fa, indicando ai tedeschi la qualità umana della vita italiana, rispetto a quella dei paesi dell’Europa continentale, basata su quella sorta di «curvatura concava» del sociale, come è stata chiamata dal Censis, fatta di comunità coese, attaccate al proprio territorio e ai suoi valori e caratteri intrinseci, dalla reciprocità nei rapporti umani ai prodotti tipici, dal bene comune alla collaborazione fra tutti i soggetti del territorio. In realtà l’Italia della qualità della vita e dei valori di coesione comunitaria, che tanti osservatori nord-europei riconoscono e amano, resiste laddove il tessuto sociale non è stato messo in crisi dai processi di disgregazione purtroppo propri di molte città. Certamente le aree urbane e le organizzazioni sociali complesse, proprie dei territori demograficamente ed economicamente più densi, rappresentano delle punte avanzate nella comunità nazionale dal punto di vista dei consumi, della produttività e della modernizzazione dei costumi, e i suoi cittadini si caratterizzano per una accentuata sensibilità nei confronti delle tendenze più sofisticate del mondo globalizzato. Basti pensare a città come Roma o Milano, con il loro ipermodernismo dei consumi (da internet ai viaggi esotici) e con la vitalità economica che le contraddistingue. Ma lo sviluppo urbano e tecnologico spesso si accompagna a una pericolosa disarticolazione molecolare delle componenti fondamentali della società: dalle famiglie alle generazioni, dalle comunità di vita alla stessa comunità ecclesiale. E le città più grandi rischiano di diventare dei contenitori in cui coesistono energie vitali e derive di isolamento, crescita esponenziale della comunicazione multimediale e frammentazione sociale, ridondanza di offerta culturale e impoverimento relazionale, disponibilità di risorse e mancanza di tempo per utilizzarle.La vita cittadina diventa quindi spesso il luogo della perdita del senso della continuità storica, della anomia come mancanza di identità condivise e di valori collettivi, del multipolarismo tipico della globalizzazione, e della insicurezza diffusa.I piccoli centri nei quali trascorriamo in molti casi i nostri giorni di riposo ci riportano a una dimensione più umana dell’esistenza e, senza rinnegare i valori positivi della modernità, ci trasmettono, oltre al calore di una dimensione sociale più ristretta, determinante per il benessere delle persone e delle famiglie, il valore positivo di un tessuto sociale più coeso. Realtà sperimentabili, nelle quali si condensano relazioni solide, meccanismi di fiducia e anche disagi, naturalmente, ma più visibili, accettati e condivisi, e soprattutto spirito di appartenenza e di comunità. In molti di questi territori si dispiegano fenomeni di vero e proprio ricompattamento sociale, sia spontaneo che intenzionale: dalle associazioni locali, vecchie e nuove, ai gruppi di mutuo aiuto, dai progetti di sviluppo alla tutela del patrimonio ambientale e culturale  e alla coltivazione di una spiritualità genuina che si contrappone al materialismo diffuso. Fenomeni che trovano un terreno più fertile e accogliente, nel quale le tradizioni non sono state dimenticate né rinnegate, i giovani sentono ancora il legame con la famiglia di appartenenza, anche se  trascorrono molti mesi dell’anno lontano da casa per studio o lavoro, gli anziani non si sentono abbandonati, i politici locali hanno una rapporto diretto e  uno scambio quotidiano con i cittadini, la comunità ecclesiale è vitale e strettamente intrecciata con quella civile.Sarebbe auspicabile che i "metropolitani" portino con sé, al ritorno in città, un po’ di questi valori comunitari, da riversare nei luoghi di vita dei quartieri cittadini, perché possano recuperare almeno in parte la coesione e la relazionalità perdute.
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