venerdì 4 maggio 2012
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Escono di scena. Chiusi nella più nera solitudine, dicono addio alla vita. Lo fanno sovente nelle loro case, quasi sotto gli occhi dei propri cari. Sanno di provocare in essi il più cocente dei dolori che può essere riservato a un essere umano. Sanno che Dio, amante della vita, non approva quel gesto disperato che misteriosamente si riverbera sull’intera umanità rendendola più vecchia e angosciata, e chiedono perdono. Non cedere mai: quante volte l’hanno ripetuto ai loro figli nei momenti dello sconforto. Non cedere mai. Alla maleducazione, al vivere incivile, alla violenza di qualsiasi tipo. Alla tentazione di una vita comoda e disimpegnata; alla strumentalizzazione di un altro uomo per i tuoi propri interessi. Eppure, nonostante i loro nobili ideali, non ce l’hanno fatta a reggere. I giorni, da quando hanno perso il lavoro, sono diventati privi d’interesse, monotoni, tutti uguali. Insopportabili. Inutili. E ai vecchi amici di sempre hanno cominciato a preferire la solitudine. Sono divenuti silenziosi, introversi, cupi. Qualcuno cominciava a preoccuparsi, ma nessuno ha pensato seriamente che potessero arrivare a tanto. La vergogna di non essere più capaci di provvedere alla famiglia li divorava. L’età non era più quella di una volta, i tempi belli della giovinezza ormai alle spalle. Gli antichi sogni si erano da tempo dileguati. E, nonostante gli sforzi, davanti a loro non vedevano che il buio. A sentire notizie di sperperi e ruberie di denaro pubblico venivano divorati dalla rabbia. Nemmeno le vecchie imprecazioni contro un certo modo cialtrone di fare politica dava loro più soddisfazione. Ai loro occhi tutto andava perdendo d’interesse. Silenziosa e buia come la notte era scesa nei loro animi una svogliatezza, un tedio che rasentava la depressione. Un senso di inutilità, di tristezza, li invadeva. Un desiderio fortissimo di poggiare il capo sul grembo della mamma e piangere. Come quando erano bambini. Il calar della sera cominciava a impaurirli. Sapevano che il sonno sarebbe stato invocato invano. Un pensiero atroce poi ha cominciato a farsi strada, a prendere il sopravvento sugli altri: togliere il disturbo. Mettere in atto una decisone assurda, non per mancanza di amore, ma per rendere la vita più sopportabile alla famiglia. Così hanno sentito il bisogno di credere per trovare il coraggio di fare ciò che assolutamente non va fatto mai. Pecorelle smarrite nei meandri dei loro pensieri, allo stremo, senza più forza di lottare. Se ne sono andati. Erano nostri amici, nostri parenti. Sono tantissimi, ma uno solo sarebbe bastato a toglierci il sonno. Imploriamo il Cielo perché dia a tutti gli uomini il dono della pietà. Una pietà che non ha confini. Chiediamola per chi ha nelle mani le sorti del Paese, per le famiglie, per tutti i disoccupati. Per non correre il rischio di appiattirci o di diventare cinici davanti a tanta sofferenza. Le parabole di Gesù sull’uomo benestante che, grazie all’ottimo raccolto, si arricchisce ancora di più e, soddisfatto, farfuglia a se stesso «anima mia, mangia, bevi e godi...», e l’altra del ricco Epulone che, impegnato a banchettare, nemmeno si accorge che alla porta di casa sua, c’è un povero, Lazzaro, al quale i cani stanno leccando le piaghe purulenti, ci ricordano che questa sciagura potrebbe sfiorarci tutti. I suicidi per mancanza o perdita di un’occupazione necessitano di essere ricordati allo stesso modo dei caduti sul lavoro. Raccogliamo l’ultimo, straziante grido di chi si è tolto la vita e facciamo di tutto per mettere fine alla disperazione nera presente in tante case italiane. Un esame di coscienza individuale e collettivo si impone perché gli italiani – tutti – continuino a sperare.
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