martedì 23 dicembre 2008
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Nel discorso che ha pronunciato ieri nel corso dell’udienza alla Cu­ria romana, in occasione degli auguri natalizi, Benedetto XVI ha offerto agli ascoltatori alcune sottili riflessioni teo­logiche. Una, in particolare, merita at­tenzione. Dopo aver ribadito che la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai propri fedeli soltanto il messaggio della salvezza, ma che «es­sa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico», il Papa ha aggiun­to che nel 'creato', che è oggi sotto­posto a grandi pericoli di distruzione e che va difeso come un bene appar­tenente a tutti, rientra ovviamente an­che l’uomo. È compito primario della Chiesa «proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso». È facile immaginare che queste paro­le del Papa troveranno ampio consen­so in tutti coloro che vedono con preoccupazione il degrado ambienta­le come un’autentica minaccia per la sopravvivenza stessa del genere uma­no. Ma il Papa va al di là di queste pur giuste preoccupazioni, chiaramente da lui pienamente condivise. «Le foreste tropicali – egli ha detto – meritano, sì, la nostra protezione, ma non la meri­ta meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione». Se l’uo­mo corre un pericolo di distruzione, è anche perché abusa della propria na­tura, affidandosi ciecamente a illuso­rie pretese di autoemancipazione, tra le quali Benedetto XVI cita esplicita­mente quella del 'gender', l’ideologia secondo la quale l’uomo sarebbe le­gittimato a scegliere e a elaborare in sovrana e insindacabile libertà i pro­pri orientamenti pulsionali, dato che l’identità sessuale – maschile e fem­minile – del nostro corpo andrebbe considerata alla stregua di un irrile­vante dato biologico. La questione è cruciale. Teoretica­mente essa rimanda ad una questio­ne metafisica, quella della natura del­l’essere umano, che – dice il Papa – non può essere ritenuta 'superata'. Teologicamente, essa investe il pro­blema dell’'ordine della creazione', che siamo chiamati a rispettare, nella consapevolezza che qualsiasi mani­polazione di quest’ordine sul piano spirituale è un’autentica offesa a Dio e sul piano materiale è una minaccia per l’uomo. La questione possiede però anche un suo rilievo mediatico, che non va trascurato. Si sono di re­cente moltiplicate sui mass-media le critiche alla fermezza con cui la Chie­sa sta prendendo le distanze da di­chiarazioni, atti di indirizzo, conven­zioni nazionali e internazionali, nelle quali ( spesso – perché non dirlo? – subdolamente) sono stati introdotti, nella pretesa di denunciare qualsiasi discriminazione, indebiti riferimenti alla logica del 'gender'. Spiace rilevare come studiosi di pur al­to profilo – si veda l’editoriale di Carlo Galli, su Repubblica di ieri – si dimo­strino non in grado di percepire quale sia la vera posta in gioco. Insegnare ai bambini e ai ragazzi, nel contesto di u­na disciplina scolastica quale l’Educa­zione alla Costituzione che il matri­monio non presuppone la diversità sessuale (come avviene in Spagna) o imporre che nei sussidiari delle scuo­le elementari non si usino termini co­me 'papà e mamma' (come succede in Inghilterra), perché portatori di va­lenze discriminatorie (!!!), non signifi­ca insegnare pluralismo e tolleranza, ma veicolare con l’autorevolezza che la scuola dovrebbe possedere (ma che sempre meno possiede) una visione deformante dell’identità umana. «È ne­cessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto», ha detto ieri il Papa. A quando una franca discussione su questi temi, liberata da pregiudizi laicisti, divenuti oramai soffocanti e insopportabili?
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