mercoledì 22 febbraio 2023
I numeri delle vittime, i crimini, i piani di Putin e le contromosse della Nato, il ruolo dell'Italia e della Cina, gli effetti sui Paesi più poveri, gli scenari e le prospettive per i prossimi mesi
Putin annuncia l'attacco all'Ucraina, il 24 febbraio 2022

Putin annuncia l'attacco all'Ucraina, il 24 febbraio 2022 - ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Un anno di guerra: cade in queste ore il triste anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. L’impensabile nel cuore dell’Europa. Quello che gli stessi Paesi confinanti non volevano credere e che gli Stati Uniti invece prevedevano come imminente si scatenò nella notte del 24 febbraio 2022. Doveva essere una guerra lampo, con un attacco su tre fronti per arrivare a prendere i palazzi del potere di Kiev, dove insediare un governo fantoccio guidato da Mosca. Ma la reazione ucraina e i cattivi piani del Cremlino hanno fatto sì che quel progetto fallisse e che dal previsto blitzkrieg si passasse al più tragico e sanguinoso conflitto accesosi nel Vecchio Continente dal 1945. Le armi Nato hanno poi permesso una parziale riconquista fino alla liberazione di Kherson. Nel mezzo l’annessione formale da parte della Federazione di quattro regioni occupate al termine di un referendum totalmente irregolare.

Il conflitto attualmente non vede prospettive di pace, perché nessuno dei belligeranti coinvolti a vario titolo nella crisi sta proponendo serie iniziative diplomatiche, con l’eccezione della Santa Sede e dell’infaticabile voce del Papa. Solo la Turchia ha cercato una mediazione iniziale, ospitando incontri a basso livello, conclusi senza esito. Oggi si spera in una possibile iniziativa cinese, mentre si teme la ripresa dei combattimenti su vasta scala con l’offensiva di Mosca e la controffensiva di Kiev.

LE VITTIME E I PROFUGHI

Bisogna partire da loro, dalle vittime, quando si parla di guerra. L’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu ha conteggiato finora 8.006 civili morti e 13.287 feriti. I bambini uccisi sono 487 e 954 quelli feriti. Si tratta di dati sottostimati, perché l’Ucraina non fornisce cifre, principalmente per non deprimere il morale del Paese durante la resistenza all’aggressione (solo a Mariupol si parla di oltre diecimila vittime). Nessun conteggio ufficiale nemmeno per i caduti in combattimento. Non lo fornisce Kiev, non lo fa Mosca. L’Ucraina aggiorna il numero presunto dei soldati nemici uccisi, un numero sicuramente sovrastimato, per dare il segno della propria forza militare. Analisti indipendenti parlano di ben oltre centomila fra morti e feriti sul fronte russo (dove i comandi non si fanno scrupolo di mandare al massacro truppe mal equipaggiate e mal addestrate) e di un bilancio un po’ meno pesante sul fronte opposto.

L'esodo di migliaia di cittadini ucraini, donne e bambini, verso i Paesi europei

L'esodo di migliaia di cittadini ucraini, donne e bambini, verso i Paesi europei - Ansa

Otto milioni di ucraini nel 2022 hanno lasciato il proprio Paese sotto le bombe. Quasi un ucraino su cinque ha varcato le frontiere verso la Moldavia e i Paesi Ue. Il 40% sono bambini, gli altri donne e anziani, perché i maschi fino a 60 anni sono richiamabili nelle forze armate e non possono lasciare le proprie case. Nel corso dei mesi un certo numero di profughi è rientrato in patria, nelle zone liberate o più sicure. Ancora 150mila persone sono ospitate in Italia.

Un capitolo a parte spetta alle violenze e ai crimini compiuti sui civili. A Bucha sono state trovate fosse comuni con persone orrendamente torturate; a Mariupol è stato bombardato il teatro dove avevano trovato rifugio molti sfollati ed era segnalata la presenza di non combattenti. Altre città sono state martellate dall’artiglieria e con i missili dal cielo: condomini sventrati, centrali elettriche messe fuori uso per lasciare gli abitanti senza riscaldamento. Ci sono infine gli stupri di guerra e i rapimenti di bambini, portati in Russia, crimini sicuramente compiuti dalle truppe di occupazione ma ancora da quantificare.

L'UCRAINA COSI' VICINA

Vista dall’Italia, l’Ucraina era un Paese “lontano” se non fosse stato per le tante benemerite lavoratrici (e lavoratori) presenti nelle case del nostro Paese. È diventata una nazione “vicina” che si è rivelata unita, coriacea e coraggiosa nel contrastare l’invasione russa. Un Paese identitariamente diviso, tra attrazione europea e spinte filorusse a Est, di colpo si è ritrovato coeso sotto un’unica bandiera per difendere la propria vita e la propria terra. Il presidente Volodymyr Zelensky, ex attore e non un esperto statista prima della guerra, è diventato il simbolo della resistenza all’esercito di Mosca.

I crimini contro i civili nelle città intorno a Kiev, Bucha e Irpin

I crimini contro i civili nelle città intorno a Kiev, Bucha e Irpin - Ansa

Il ruolo di baluardo dei confini dell’Unione ha aperto la strada verso Bruxelles a uno Stato che non sembrava pronto per l’adesione a causa delle sue istituzioni non ancora pienamente trasparenti, della corruzione e delle pulsioni nazionaliste. E ora anche l’ingresso nella Nato non è più così lontano. Ma il futuro resta denso di incognite. Come sarà l’Ucraina dei prossimi anni dipende ormai dall’alleanza dei Paesi che la sostengono economicamente e militarmente. Dopo la forza mostrata nell’ora dei combattimenti, emergeranno la miseria delle distruzioni e dell’emigrazione di massa, gli odi e i risentimenti. In ogni caso, l’aggressione russa ha causato una ferita che continuerà a sanguinare a lungo.

RUSSIA MILITARIZZATA

Fino al 24 febbraio 2022 era un Paese dalle grandi potenzialità in bilico tra una democrazia incompiuta e un’autocrazia. Ma la guerra d’aggressione decisa da Putin l’ha trasformato in uno Stato in contrapposizione all’intero Occidente, rinchiuso in una gabbia di crescente mobilitazione nazionalistica. La libertà di espressione è ridotta pressoché allo zero, i diritti civili sempre più compressi, il potere del presidente senza alcuna opposizione. Il bilancio per il Cremlino è totalmente negativo: sul campo i piani bellici sono saltati, le perdite sul campo sono pesantissime, un milione di persone ha lasciato il Paese “militarizzato”, il mercato dell’energia – da cui dipende l’economia – sta cambiando a danno di Mosca, le sanzioni continueranno a erodere la ricchezza del Paese. Putin non può viaggiare in metà del mondo e rischia un processo internazionale. Il leader si gioca tutto con un appello esistenziale e culturale per un conflitto basato sui valori “tradizionali”, che prevede perfino l’uso dell’arma atomica. Una situazione per un verso blindata ma per un altro verso instabile.

L'acciaieria Azovstal di Mariupol

L'acciaieria Azovstal di Mariupol - Ansa

IL CAMBIO DI LINEA USA

Nelle prime ore dell’aggressione russa erano pronti a esfiltrare Zelensky e la sua famiglia. Avevano previsto la mossa devastante di Putin ma non sembravano convinti di poter frenare l’avanzata dell’ex Armata rossa, anche se erano stati in prima linea nella preparazione dell’esercito ucraino. Ma quando gli Stati Uniti hanno capito che almeno a breve le forze di Kiev avrebbero retto l’impatto, hanno cominciato un piano di massiccio supporto economico, logistico e militare, che ha trasformato la guerra. Biden si è dimostrato meno “vecchio” di quanto dica la sua carta d’identità e si è messo rapidamente al comando dell’Occidente nel difendere il diritto internazionale e nel rintuzzare l’espansionismo del Cremlino, nel momento in cui tutte le attenzioni dell’Amministrazione erano puntate sulla Cina. In un anno di guerra, il presidente ha dosato l’impegno Usa per non provocare la reazione di Putin, ma ora è impegnato a gestire una crisi che deve trovare un punto di caduta in tempi non troppo lunghi. Compito difficile, che richiede una strategia diversa da quella intrapresa finora. Certamente, l’appoggio bellico non si esaurirà e sarà forse l’esito dello scontro sul campo a orientare le prossime scelte della superpotenza americana.

NATO RIVITALIZZATA

Per il presidente francese Macron, nel novembre del 2019, l'Alleanza atlantica era «in stato di morte cerebrale»: troppo sbilanciata sugli Stati Uniti di Trump, disinteressati al Vecchio Continente, mentre sembrava necessario ricentrare le politiche di difesa sulla Ue, aprendo un dialogo “non ingenuo” con la Russia. Analisi superata presto dalla Storia. La Nato si è dimostrata il baluardo dell’Occidente, capace di fermare l’imperialismo del Cremlino per interposta Ucraina, mentre la presidenza Biden ha riportato una leadership che coinvolge Bruxelles nel fronte delle democrazie pro-Kiev. Paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia si sono affrettati a chiedere l’ingresso nell’Alleanza (e presto saranno membri effettivi). Resta il nodo Turchia, sempre borderline con le sue scelte e a rischio “doppio gioco”. Il fatto che la Nato si sia dimostrata vitale interroga comunque l’Unione Europea sul ruolo che vorrà assumere nell’ambito della Difesa.

Un ponte distrutto dai missili russi

Un ponte distrutto dai missili russi - Ansa

NUOVO ORDINE MONDIALE?

La globalizzazione è finita? Una diagnosi affrettata e inaccurata. La guerra innescata dalla Russia ha rimesso in moto le alleanze internazionali. Pochi Paesi, e poco influenti, si sono apertamente schierati con Mosca. Cina e importanti potenze come India, Brasile e Sudafrica non vogliono opporsi al Cremlino, perché vedono un’occasione per rimodellare gli equilibri globali a sfavore degli Stati Uniti e dell’Occidente in genere. La Storia non era finita con una stasi indefinita dopo la caduta del Muro di Berlino e non finirà ora con la crisi ucraina.

Pechino può giocare un ruolo fondamentale. Il quesito è fino a che punto vorrà spingere la contrapposizione con Washington. Ha bisogno dei mercati internazionali per i suoi prodotti, come le imprese Usa ed europee hanno necessità del suo miliardo di consumatori. La reazione ferma della Nato potrebbe fare sì che i “non allineati” restino alla finestra, aspettando di vedere l’esito della guerra. Ma nel fare un bilancio dell’hard e del soft power, non si può dimenticare che, conflitto a parte, l’evento mondiale di questi mesi è il lancio di ChatGPT, la nuova, sorprendente intelligenza artificiale. È un prodotto tutto americano, a dimostrazione di una leadership che non sembra tramontare.

L'ITALIA E LA PACE

I due premier in carica durante il primo anno di guerra, Mario Draghi e Giorgia Meloni, sono andati personalmente a Kiev per portare al popolo ucraino l’appoggio e la solidarietà italiana. Concretamente, gli aiuti economici del nostro Paese sono stati inferiori a quelli di molti membri della Ue (l’Estonia ha dato l’1% del suo Pil), anche le forniture militari (secretate, quindi difficili da valutare) sono state ridotte rispetto ad altri Stati occidentali. Va però sommato il contributo comunitario: la Ue ha già speso per Kiev 30 miliardi di euro e ne ha stanziati altri 18 tratti dai fondi versati dai 27 Stati membri. Politicamente, divisioni sono affiorate sulla linea da tenere nella crisi, in particolare con il dissenso al riarmo espresso dal Movimento 5 Stelle e con le sortite pro-Putin di Silvio Berlusconi. Forte la mobilitazione sociale per la pace, con tante iniziative popolari, culminate nella grande manifestazione del 5 novembre 2022 e nella marcia PerugiAssisi straordinaria di giovedì 23 febbraio 2023.

L'IMPATTO SUI PIU' POVERI

Se ne parla colpevolmente poco. Ucraina (e anche Russia) sono tra i maggiori esportatori di prodotti agricoli e di fertilizzanti indispensabili per le coltivazioni in loco. Un accordo per riprendere l’export siglato in estate grazie alla mediazione della Turchia di Erdogan ha permesso di fare ripartire una quota del grano di Kiev verso i Paesi più poveri. Ma la crisi ha fatto crescere il costo delle derrate su scala globale ricacciando nella povertà decine di milioni di persone e mettendone molti altri a rischio di carestie e di fame.

Anche l’impennata dei prezzi dell’energia potrebbe causare forti difficoltà economiche per 141 milioni di persone in tutto il mondo, che rischiano di dover rinunciare a servizi essenziali, a partire dal riscaldamento nelle abitazioni. A cascata, il circolo sanzioni economiche, stop al commercio di alcuni beni, difficoltà di trasporto, aspettative negative sta causando difficoltà di approvvigionamento e vere recessioni nazionali che vanno a gravare sulle fasce più deboli della popolazione. La guerra, pur localizzata, sta perciò avendo un effetto deleterio a macchia d’olio che solo un’interruzione delle ostilità potrebbe fermare.

LA "RIVOLUZIONE" ENERGETICA

La fame energetica dell’Europa è stata una delle chiavi della crisi. Fino a un anno fa la dipendenza da Mosca era fortissima. I rapporti con la Russia sono stati condizionati dalla necessità di importare idrocarburi a prezzi convenienti. Ciò ha orientato la politica “accomodante” della Germania e di fatto della Ue nel suo complesso, anche dopo l’annessione illegale della Crimea da parte di Mosca nel 2014. Soltanto l’invasione dell’intera Ucraina il 24 febbraio scorso ha reso evidente l’impossibilità di legarsi per approvvigionamenti vitali a un Paese che aggredisce Stati sovrani e minaccia il continente.

La “riconversione” ad altri fornitori e ad altre fonti è stata rapida ed efficace, i legami commerciali con la Russia sono in picchiata e senza troppi scossoni (l’import totale di gas e petrolio da Mosca è passato dal 36% del fabbisogno totale Ue al 9%). Dopo il picco dei prezzi, si sta tornando a livelli sopportabili per le economie europee. Potrebbe però essere una “tregua” provvisoria nell’incertezza degli esiti della guerra e del rimodellarsi degli equilibri mondiali, compreso il ruolo delle scelte cinesi.

L’impatto del conflitto sulla transizione verde dalle fonti fossili alle energie rinnovabili e non clima-alteranti è stato contenuto, almeno sulla carta. I piani europei non sono stati modificati, il 2035 come data per lo stop alla produzione di auto a benzina e diesel è stato confermato di recente. Ma il ritorno alle centrali a carbone in qualche Paese e la sensazione che in questo frangente l’attenzione al clima possa essere un lusso troppo costoso sono elementi di rischio da non sottovalutare.

GLI SCENARI POSSIBILI

Che cosa ci aspetta ora? La Russia sta ammassando uomini e mezzi ma non è chiaro se sia davvero in grado di lanciare una nuova efficace offensiva già in queste settimane o se dovrà aspettare la primavera. L’Ucraina sta ricevendo un arsenale rinnovato e potenziato dalla Nato e dagli altri Paesi che la sostengono. La strategia di Kiev, in coordinamento con gli alleati, dovrebbe portare a una riconquista di territori per arrivare poi a una tregua da una posizione di forza. Ma i piani scritti dai generali devono fare i conti con la realtà degli scontri sul terreno e con l’evoluzione dello scenario politico.

Difficilmente la crisi si risolverà soltanto sui campi di battaglia. Il prolungarsi del conflitto potrebbe convincere la Cina a premere su Putin. E sul lungo periodo le sanzioni avranno effetti più pesanti di quanto abbiano fatto finora. Mosca si è “difesa” con le ampie riserve valutarie e con l’aiuto di Pechino e altri Paesi “non allineati”, pronti a rimpiazzare forniture e mercati chiusi dall’Occidente.

Gli Stati Uniti non vogliono lasciare la vittoria al leader russo, ma nemmeno forzeranno per un improbabile “regime change” al Cremlino. L’Europa è chiamata a uno sforzo in proprio maggiore e più incisivo, sia politico-diplomatico sia di difesa. La Cina di Xi Jinping resta un attore chiave seppure sullo sfondo e senza un coinvolgimento diretto. Nessuno vorrebbe parlare del secondo anno di guerra il prossimo 24 febbraio. Tuttavia, le prospettive realistiche di una tregua nei prossimi mesi rimangono oggi, tragicamente, ridotte.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: