lunedì 15 maggio 2023
Il presidente nelle capitali europee per chiedere più sostegno. Dubbi sulla controffensiva massiccia a breve, forse si scommette sull'incrinarsi del fronte di Mosca. Attacco a un "ministro" a Lugansk
Il premier Sunak e Zelensky

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La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 446, caratterizzato dalla più vasta iniziativa diplomatica del presidente Volomydyr Zelensky in Europa, forse preludio della tanto annunciata controffensiva militare, forse estremo tentativo di avere un maggiore sostegno bellico ed economico dai principali Paesi Ue e costruirsi una rete in caso di non pieno successo delle prossime fasi sul campo di battaglia, compreso un appoggio per l’ingresso rapido del suo Paese nella Ue.

Le promesse giunte da Berlino e Londra (e forse in misura minore e meno pubblicizzate da Roma e Parigi), impegnative in termini di mezzi e di risorse, non potranno concretizzarsi con arrivi in Ucraina di treni e Tir carichi di materiale fra pochi giorni o settimane. Resta quindi da capire se Kiev tenterà la spallata nella finestra di primavera per ricacciare indietro le forze d’occupazione russe, oppure tenterà azioni circoscritte per tenere Mosca sotto pressione e attendere di avere a disposizione armi a lunga gittata e i caccia F16 per dare vita all’assalto finale.

Le nebbie di guerra sono quelle che possono mettere fuori strada il nemico che aspetta l’azione offensiva. Per questo, tutte le mosse di Zelensky e dei vertici ucraini vanno lette in questa chiave. Ovviamente, il frenetico tour nelle capitali, cominciato sabato con l’incontro al Quirinale, è anche funzionale a tenere alta l’attenzione sulle sofferenze della popolazione colpita, perché l’assuefazione non spenga l’indignazione delle opinioni pubbliche occidentali e la loro volontà di rimanere al fianco di Kiev nel conflitto contro Mosca, con tutto quello che ciò comporta.

Il tutto avviene mentre Li Hui, rappresentante speciale della Cina per gli affari eurasiatici dal 2019 ed ex ambasciatore in Russia, dà il via con la sua delegazione alla missione in Europa che lo porterà prima a Kiev (probabilmente da martedì 16) e poi a Mosca, negli sforzi di Pechino per trovare una "soluzione politica". Li si recherà anche in Polonia, Francia e Germania, secondo quanto annunciato dal ministero degli Esteri cinese la scorsa settimana, "per comunicazioni approfondite" e per rimarcare che "dallo scoppio della crisi ucraina, la Cina ha sempre mantenuto una posizione obiettiva e imparziale, promuovendo attivamente colloqui di pace".

Li è il funzionario cinese di più alto livello a visitare l'Ucraina da quando la Russia ha iniziato la sua aggressione il 24 febbraio 2022 e il suo viaggio rischia di coincidere con l'inizio dell’intensificarsi dei combattimenti. La visita è maturata dopo che il presidente Xi Jinping ha avuto a fine aprile una telefonata con Zelensky. In precedenza, all’anniversario di un anno di guerra, Pechino aveva diffuso il suo piano in 12 punti che non soddisfa Kiev ma nemmeno Mosca, eppure può essere il punto di partenza perché l’influenza cinese su Mosca possa esplicitarsi.

L’attendismo militare ucraino potrebbe essere interpretato anche come la speranza che le divisioni interne di Mosca e l’iniziativa di Xi inducano Vladimir Putin a sedersi a un tavolo con condizioni meno rigide anche senza il cedimento totale delle linee di difesa allestite nelle zone sotto occupazione. Una scommessa da parte ucraina dovuta forse ai timori che lo sfondamento non sia così facile e che la situazione nella Federazione sia ancora più sfilacciata di quanto appaia.

Attualmente, emergono le continue provocazioni del fondatore e capo della milizia Wagner. Lo scontro tra Yevgeny Prigozhin e i vertici militari russi ha toccato nelle ultime ore nuovi picchi, dopo un’ennesima fuga di notizia dal Pentagono, pubblicata dal “Washington Post”. L’amico (o, probabilmente, ex) di Putin è stato accusato apertamente di tradimento: alla fine di gennaio, si dice nelle indiscrezioni, avrebbe fornito alle truppe ucraine le coordinate per bombardare quelle russe, in cambio del ritiro delle forze di Kiev da Bakhmut. Prigozhin ha smentito e grida al complotto interno, orchestrato da elementi corrotti dell'establishment che a suo dire il popolo vorrebbe vedere "impiccati sulla Piazza Rossa".

Il Cremlino deve temere lo sfaldarsi del blocco di potere che lo sostiene o si tratta soltanto dei colpi di testa di una personalità – Prigozhin – difficile da tenere sotto controllo ma non davvero minacciosa per gli equilibri interni? Sembra che siamo di fronte a una fase fluida della crisi, in cui c’è spazio forse anche per l’iniziativa diplomatica della Santa Sede, che non deflette dal suo impegno per la pace. Papa Francesco ha ricevuto Zelensky con la massima disponibilità a farsi promotore del dialogo verso la tregua e ha visto in parte respinto il suo sincero sforzo da un presidente ucraino timoroso di mostrarsi meno che inflessibile sul tema dell’integrità territoriale del proprio Paese e, per questo, quasi scortese nei confronti di un’autorità spirituale che cerca solo il bene di tutte le parti.

In questo clima continuano le azioni mirate e simboliche, probabilmente orchestrate dai servizi segreti ucraini. L’ultimo obiettivo in ordine di tempo è stato il "ministro dell'Interno" dei separatisti filorussi di Lugansk, Igor Kornet, rimasto ferito in un'esplosione nella città del Donbass e poi ricoverato in ospedale. Un passante sarebbe morto e tre guardie sarebbero rimaste "seriamente ferite" in quello che viene definito "un tentativo di assassinare" l’esponente politico vicino alle forze di occupazione con una bomba a mano lanciata all'interno di un salone di barbiere.

Il risiko della guerra potrebbe presto riservare sorprese su entrambi i fronti.

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