«Tutto può davvero succedere a tutti». La cronaca urla. Ma il bene segna
sabato 1 aprile 2017

Gentile direttore,
non so se sarò in grado di organizzare i pensieri, ma in realtà le scrivo proprio perché sento la necessità quantomeno di provarci. Madre e insegnante, mi sento sempre più spesso con le spalle al muro, devastata dalla incapacità di “incidere” sulle giovani generazioni, lasciando un segno di positività, tracciando una rotta da seguire nel tentativo di entrare in porto. È uno strano sentimento, che si radica fortemente dentro di me soprattutto quando mi assalgono (e mi distruggono) tragici eventi di cronaca che i media sbattono sistematicamente in pagina e in video, senza lasciare vie d’uscita. Sono tutti bravi ragazzi, allegri, sereni, “normali”, quelli che si sballano, si perdono, uccidono e si uccidono. Ed eccoci allora, in mezzo a quelle parole, a cercare invece qualcosa di “anormale”, di diverso, rispetto a quanto accade e viene così raccontato. Lo cerchiamo prima di tutto nella nostra famiglia. Perché vogliamo continuare a credere che certe cose capitino solo a casa di altri, e ci raccontiamo che noi siamo più bravi, ci convinciamo che siamo presenti e abbiamo sotto controllo quanto riguarda i nostri figli, li seguiamo e cerchiamo di capirli, di interpretare in qualche modo ogni loro disagio... In queste settimane, anche se altri tragici fatti si sono purtroppo inanellati terribilmente, continuo ad ascoltare soprattutto la voce ferma della madre che ha pianto il figlio sedicenne suicida praticamente davanti ai suoi occhi, lei che ha avuto una forza inaudita nel rivolgersi alle forze dell’ordine perché consapevole di essere ormai incapace di aiutare davvero quel suo ragazzo che “si faceva le canne”. Guardando quella madre che scongiura tutti i ragazzi di non lasciarsi abbagliare dalle “storie” che ci si racconta, che tanto va sempre tutto bene, che non c’è pericolo, che si può tornare indietro in qualunque momento, ecco, capisco che tutto può succedere a tutti. Non basta essere attenti e coinvolti nella vita dei nostri figli per poter intercettare davvero i problemi e riuscire ad arginarli. C’è tutto un mondo, là fuori, che ci rema contro, e noi siamo storditi di fronte a una società che non vuole più distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è; eppure, la differenza ancora esiste, eccome. Lo sappiamo bene, e ci interroghiamo continuamente su quale sia il modo più giusto: conferenze, dibattiti, manuali. Ci chiediamo come agire per il meglio, come muoverci in questo campo minato, assediati ovunque da nemici con i quali nulla abbiamo in comune. Ma non troviamo risposte. Perché di soluzioni preconfezionate non ce ne sono. Scegliere l’autorevolezza, a volte anche l’autorità, sembra essere oggi la strada migliore, mentre fino a non troppi anni fa i bambini dovevano crescere in un contesto che li lasciasse sperimentare, che li mettesse alla prova, anche sbagliando. Forse però abbiamo esagerato, e le loro giovani menti non sono più in grado di comprendere fino a che punto si possa veramente sbagliare per imparare, non si rendono conto che ci sono errori ai quali non si trova rimedio, dai quali non si può proprio tornare indietro. Ma noi sì, ce ne stiamo rendendo conto eccome, e allora altro non possiamo che urlare al mondo la nostra sconfitta e provare a convincere chi ci ascolta, ed è ancora in tempo, di non rinunciare mai a quel ruolo educativo che solo l’amore può sostenere, dimenticandoci di tutto quello che è “politicamente corretto” e avendo di fronte solo quel grande bene che sono i nostri ragazzi, da non lasciare mai soli. Non continuiamo a illuderli che “se puoi sognarlo, puoi farlo”. Non è vero, a quaranta, cinquant’anni sappiamo che sono fandonie, perché la vita non te la giochi mai veramente e solamente come vuoi. Non è vero, sarà difficile, e ogni età deve conoscere le “sue” difficoltà, buche, curve e salite, proprio perché di fronte alle cadute, anche le più rovinose, sia possibile alzarsi e ricominciare. Con la paura di fallire di nuovo, ma anche con quella speranza che trova veramente un senso solo guardando e cercando un infinito che si costruisce giorno dopo giorno nella sincerità del nostro cuore.


Cristina Tassi
Faenza (Ra)



È riuscita ad organizzare benissimo i suoi pensieri, gentile e cara amica. Con sensibilità di madre e di insegnante. Li ho tenuti per qualche tempo sulla mia scrivania, mi hanno fatto compagnia e mi hanno inquietato con le «paure» che non temono di riconoscere e di ammettere anche per chi non lo vuol fare. Li ho letti e riletti, con occhi via via diversi. Li trovo utili e scomodi, perché straordinariamente pacati, sodi, incalzanti. Per questo lascio a lei, a loro, gran parte di questo spazio di dialogo. Aggiungo solo una sottolineatura, per continuare la «infinita speranza» a cui lei dà infine voce. Non bisogna stancarsi di trasmettere ai più giovani, e non bisogna smettere di imparare con loro, che il bene e il male non sono due modi di dire. Esistono, hanno senso e danno senso a ciò che viviamo e condividiamo. E scegliere il bene o il male non è mai indifferente. Perché non è mai impossibile decidere di fare la cosa giusta per sé e per gli altri, e non è mai troppo tardi. Perché, è vero: ci sono errori, mali così grandi, a cui non si rimedia, eppure nessuna vita è mai irrimediabile, fino all’ultimo istante. Perché il bene si fa e si rifà, e anche se non “fa titolo” lascia tracce memorabili nella vita dei più piccoli e crea onde buone e lunghe nella vita di tutti. Si dice che il male segna, ma il bene segna di più. Forza, cara Cristina. Auguri pieni di affetto e di gratitudine per il suo lavoro nella scuola e per la sua consapevole e coraggiosa semina di ogni giorno.


UNA BELLA NOVITÀ


Da martedì ci sarà una bella novità nella nostre pagine delle “Idee”. Ho affidato, infatti, questo spazio di dialogo coi lettori sotto al titolo “Le nostre voci” a Marina Corradi, grande inviata speciale, firma amata e, appunto, “voce” dal timbro speciale del nostro Avvenire. Marina risponderà a un altra “voce”, che ci avrà raggiunto in vario modo, per vie di carta o digitali. E lo farà ogni giorno della settimana (a meno che, come accade già da tempo, un qualche “Botta&Risposta” più specialistico non richieda la competenza di un altro collega). Per quanto mi riguarda, non andrò in vancanza... Continuerò a leggere le vostre lettere e, ogni tanto, annoterò qualche pensiero. La domenica, poi, risponderò a mia volta un po’ più distesamente. Arrivederci. Buon ascolto reciproco e buone letture.

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