
Jannik Sinner e Lucio Corsi
Essere se stessi, con semplicità, e renderci tutti orgogliosi di essere italiani. Il colorato Lucio Corsi voleva essere un duro, mentre il nerovestito Jannik Sinner lo è, ma ambedue stanno dimostrando sui palcoscenici internazionali che la genuinità paga. Roba da intonare Tutta l’Italia di Gabry Ponte con la mano sul petto. E non importa la vittoria o meno a Eurovision o agli Internazionali di Tennis di Roma. La qualità affinata col lavoro umile e una certa “tigna”, restando sempre coi piedi per terra, ha portato il cantautore toscano a piazzarsi secondo fra gli artisti di Eurovision più ascoltati su Spotify con la sua Volevo essere un duro, e il tennista altoatesino a tornare in pista, nonostante il sofferto stop forzato, ritrovando pian piano se stesso e piazzando i suoi colpi fra i “trend topic” mondiali sui social.
Se poi ci aggiungiamo il sorriso aperto con cui la campionessa Jasmine Paolini è finita in scioltezza in finale a Roma oggi nel singolo, applaudita anche dal Presidente Mattarella, e domani nel doppio con la Errani, possiamo davvero parlare di un “italian style” da esportazione: quello del talento e della classe abbinati alla semplicità. Che è quella di Siglinde e Hanspeter, i signori Sinner che si sono presentati emozionatissimi a papa Leone XIV con le sneakers, mostrando tutta la tenerezza di una coppia che ha lavorato sodo nella vita per crescere il numero uno del tennis mondiale. Che ha imparato bene la lezione, diventando campione di quei “gesti bianchi” come assistere l’avversario infortunato De Jong e pulirgli la racchetta inzaccherata di terra.
Sabato sera tocca a Lucio Corsi, che si esibirà per quattordicesimo sullo scintillante palco dell’Eurovision Song Contest 2025 di Basilea. «La cosa che mi interessa è portare una cosa sincera dove sono me stesso. Non devo interpretare un personaggio», ha detto l'artista in un incontro con la stampa, in vista della finale che sarà trasmessa in diretta su Rai1 dalle 21, con la conduzione di Gabriele Corsi e BigMama. Perché lui, dietro al trucco bianco e l’abbigliamento glam rock anni 70, risulta molto più vero della tanta, troppa musica costruita a tavolino, fra botti e fuochi, ad uso dello show televisivo più seguito al mondo per un giro d’affari di 30 miliardi di euro.
E così l’artista, che ama la musica suonata e la poesia, è riuscito a fare la sua piccola rivoluzione “dolce” fra le ferree regole dell’Eurovision che prevede il playback per gli strumenti, inventandosi l‘escamotage di suonare l’armonica dal vivo nel microfono in cui canta e chiedendo di passare i sottotitoli con la traduzione in inglese del suo delicato e ironico testo che parla delle difficoltà dell’adolescenza. «Che consigli darei ai ragazzi di oggi? Ribalto la cosa – spiega Corsi -. Secondo me dovrebbero darceli loro, ho molto fiducia nei giovani, penso che loro siano nel presente. Più li si ascolta meglio è». Adesso si pensa alla finale ma Lucio tiene a bada le aspettative: «Andiamo molto lisci e tranquilli. La classifica non mi interessa. Amo lo sport e la competizione ma nella musica non ha senso gareggiare. Ogni canzone può suscitare qualcosa di diverso, non è un gesto atletico». Lui non è altro che Lucio, e meno male.