venerdì 20 maggio 2011
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Vorrebbe essere qualcosa di più di un "piano Marshall", ma non c’è ancora una strategia politica ben definita nei confronti della "primavera araba". Il discorso con cui il presidente americano Barack Obama si è rivolto ieri alle nazioni, prima ancora che ai governi, del Nord Africa e del Medio Oriente, è stato un inno appassionato a una nuova stagione di libertà e di democrazia cui è anche «legato il futuro degli Stati Uniti». Per Obama «è imperativo un nuovo approccio», ma per ora c’è solo un elenco di principi e di buone intenzioni, con l’aggiunta certo non trascurabile di un pacchetto d’aiuti economici a quei Paesi arabi che hanno imboccato il cammino delle riforme.A due anni dal suo celebre appello lanciato al Cairo per una nuova era di dialogo tra l’America e i Paesi a maggioranza islamica, il leader della Casa Bianca torna a tendere la mano in uno scenario radicalmente mutato. Nel giugno del 2009 aveva pronunciato il suo discorso a fianco di Mubarak, oggi invece si rivolge a coloro che hanno cacciato i vecchi raìs o ci stanno provando a farlo. Un’opportunità storica eccezionale, soprattutto dopo la recente eliminazione dello "sceicco del terrore" Osama Benladen il cui messaggio postumo, diffuso proprio ieri da al-Qaeda per fare il contro-canto al discorso di Obama, è suonato più patetico che pericoloso.Al contrario, le parole del presidente Usa sono ispirate al più grande ottimismo e annunciano un piano di aiuti economici che vedrà il coinvolgimento delle istituzioni finanziarie internazionali e sarà presentato al prossimo G8 di Deauville. I primi destinatari saranno Tunisia ed Egitto dove «due leader sono stati spodestati e altri seguiranno». Per Obama il vento nuovo che soffia nel mondo arabo è inarrestabile. Ma se la condanna del dittatore libico è senza appello («il tempo lavora contro Gheddafi»), il giudizio è più attendista sul dittatore siriano Assad, il quale «deve scegliere se guidare la transizione o lasciare il potere». Il tutto condito da un generico appello al dialogo, rivolto soprattutto ai regimi dello Yemen e del Bahrein dove la protesta non accenna a fermarsi.Alle minoranze e al diritto della libertà religiosa minacciata dagli islamisti in Egitto c’è solo un fugace accenno nel discorso di quasi un’ora tenuto dal presidente statunitense che guarda al futuro con grande speranza, sottovalutando un po’ troppo rischi e pericoli. Il sogno è un nuovo mondo dove saranno dominanti gli ideali che hanno guidato la rivoluzione americana, anche se ciò non significa che i popoli avranno interessi coincidenti.L’ostacolo più massiccio da rimuovere è sempre lo stesso: il conflitto israelo-palestinese. E su questo Obama, di fronte all’inevitabile constatazione che il processo di pace (ambiziosamente rilanciato lo scorso settembre alla Casa Bianca dove era stato fissato il limite di tempo di un anno per giungere all’accordo finale), è in stallo da otto mesi, non fa altro che ribadire la soluzione dei due Stati, anche se cita il ritorno ai confini del 1967 (da modificare solo consensualmente). Il che non basta ad Hamas e fa infuriare il premier israeliano Netanyahu, deciso a continuare nella politica di espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Obama inoltre manifesta la sua perplessità sulla riconciliazione siglata pochi giorni fa tra Fatah ed Hamas, richiamando il movimento islamista che governa sulla Striscia di Gaza a riconoscere lo Stato d’Israele. C’è aria nuova in Medio Oriente, dice sollevato il capo della Casa Bianca. Ma anche un po’ di aria fritta. Chissà se riuscirà a riscaldare i cuori degli arabi, finora molto scettici nei riguardi dell’America di Obama.
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