martedì 19 luglio 2011
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Ti fermi un attimo a osservare il grande processo kafkiano che è diventato il pallone nazionale e ti chiedi sgomento: se questo è un gioco. Eppure la “g” della Figc, starebbe per «giuoco»... Uno scudetto, quello del 2006 assegnato all’Inter, contestato come illegittimo dalla Juventus, con minacce e ricorsi, presenti e futuri, in tribunale, infine la decisione, ieri, presa per «non competenza» dal Consiglio giudicante: «Quel tricolore resta ai nerazzurri». Abete si aspettava un passo indietro dell’Inter, ma qui si fanno ben altri passi indietro. Cinque anni esatti dopo Calciopoli, abbiamo gridato al secondo grande scandalo del Calcioscommesse, con 44 indagati e 16 arresti, tra questi pure l’ex reuccio dei bomber, Beppe Signori, additato come l’Uomo Nero. Vero? E chi lo sa. Una brutta storia di partite “addomesticate” dalla Serie A alla vecchia C, controllate da scommettitori incalliti, bande di zingari e malavitosi. E ancora sonniferi somministrati ai calciatori della Cremonese, migliaia di intercettazioni telefoniche, centinaia di ore di interrogatori della Procura di Cremona e di quella sportiva. Se questo è un gioco. Infatti è un Far West, in cui mancavano solo gli indiani, ma scommettevano in maniera sospetta anche dall’Asia. Reati contestati da far riconvertire il calcio in palla prigioniera. Ci si aspetterebbe una maxistangata con l’esclusione di decine di squadre dai tornei e la condanna di altrettanti tesserati. E invece, a distanza di due mesi dallo scoppio dello scandalo, un silenzio (omertoso?) e il solito dubbio: che tutto finisca in un’altra bolla di sapone. I soggetti accusati si dichiarano «vittime innocenti» e aspettano con fiducia le sentenze della giustizia ordinaria che, come si sa, ha tempi biblici. Quella sportiva, per costituzione è fornita di “processo breve”, ma in un clima di assoluta sfiducia, il procuratore federale Stefano Palazzi aprirà il processo alla Disciplinare negli stessi giorni (a fine luglio) in cui si procederà alla stesura dei calendari della stagione 2011-2012. Perché il prezioso giocattolo pallone, anche se bucato, non può mica fermarsi. Lo show, da quasi un miliardo di euro di diritti tv, deve continuare tassativamente. E prova a farlo anche ignorando l’unico paletto fissato e apparentemente accettato da tutte le società: la tessera del tifoso. Alla Roma, alla faccia del protocollo d’intesa concordato con il ministero dell’Interno, stavano per varare l’originale abbonamento acquistabile anche senza disporre dell’imprescindibile tessera del tifoso. Invece di denunciare l’anomalia, Bologna e Samp erano pronte a imitare la trovata del club giallorosso, redarguito e fermato in zona Cesarini dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Non prendeteci per inguaribili nostalgici, ma il passato del nostro calcio, un tempo neppure troppo lontano, era rappresentato esclusivamente dagli aggiornamenti dell’almanacco e dall’album Panini, adesso invece si basa sui codici di procedura e su sentenze che appaiono sommarie, quindi generatrici di zone grigie e di "misteri di Stato". L’estate del 2006 avevamo scoperto che tutto il “sistema” era dominato da una “Cupola”, con a capo il famelico “Big Luciano” Moggi e il suo clan. Che l’Inter dunque, era il suo capro espiatorio che andava risarcito con lo «scudetto degli onesti» e che dopo la retrocessione in B della Juventus e l’epurazione dei dirigenti federali e degli arbitri corrotti, il nostro calcio sarebbe tornato finalmente libero e pulito. La vittoria del Mondiale degli azzurri di Lippi ci aveva fatto credere che davvero il 2006 poteva essere considerato l’anno zero del calcio italiano. L’unica verità certa? Ci hanno illusi. Del resto in un Paese mortificato quotidianamente da scandali e malaffare, come poteva salvarsi quel calcio che non è più un gioco, ma una delle sue industrie principali?
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