martedì 20 ottobre 2015
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La montagna Iap alla fine partorì non il topolino, ma la pulce. Le "linee guida" per la pubblicità dell’azzardo sono pressoché identiche all’articolo 28ter introdotto nel 2012 nel Codice di autodisciplina. Undici divieti ieri, dodici oggi con un’aggiunta di scarso rilievo. Il resto rimane invariato, compreso ciò che già tre anni fa lasciava perplessi. Le linee guida mancano di coraggio, a cominciare dalla parola chiave: "azzardo" non ricorre mai, preferendole il solito tenero eufemismo ufficiale "giochi con vincita in denaro". Ma da uno Iap che nel primo articolo del Codice di autodisciplina afferma che «la comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta» ci aspetteremmo innanzitutto la scelta onesta, veritiera e corretta di chiamare l’azzardo con il suo nome. Ma la mancanza più grave è un’altra. Era l’occasione per dichiarare che, analogamente al fumo e ai superalcolici, anche la pubblicità all’azzardo andrebbe vietata. Del tutto. Sarebbe l’unico vero modo per tutelare i cittadini, a partire dai minori. L’Europa non ci obbliga a farlo? Nemmeno ce lo proibisce. Nessun Paese europeo la vieta? Saremmo i primi. Primi, finalmente, sotto la voce "civiltà".

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