sabato 19 marzo 2011
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Non sono un fisico, un esperto di energia nucleare. Non posso perciò esprimermi sulla profondità del rischio che l’umanità corra con la costruzione delle centrali. Sono però assolutamente convinto che, assieme a tutti gli approfondimenti che scienziati e politici possono portarsi, un’altra domanda vada posta. E non è una domanda retorica: l’uomo non sta presumendo troppo di se stesso? Non sta correndo verso un baratro da cui sarà sempre più difficile risollevarsi?Ho una grande ammirazione per la storia delle scoperte scientifiche che, soprattutto nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo, hanno suscitato stupore di fronte al miracolo della creazione. Ho paura però degli scienziati guidati dal teorema: si può, dunque va fatto. L’uomo può rubare il fuoco agli dei, (i miti greci avevano già visto il futuro),  può mangiare dell’albero del bene e del male, ma deve accettare poi le possibili tragiche conseguenze di questa sua ubris, di questa sua tracotanza.Il cammino della conoscenza non ha sempre esiti belli e positivi. Occorre che la conoscenza applicata al fare, la scienza applicata alla tecnologie, siano sempre guidate e governate da una oculata considerazione del bene per l’uomo di oggi e di domani. La mia non è una volontà conservatrice di una casta sacerdotale che vuole portare indietro le lancette della storia. È piuttosto una voce che sale dal profondo del cuore degli uomini: non arrestarsi di fronte a nulla porterà un aumento o una diminuzione di felicità all’uomo?La corsa a nuove fonti di energia nasce da sempre nuovi bisogni. Sono tutti essenziali? Distruggendo la terra, le foreste, i mari, invadendo la testa della gente di sempre nuove e più numerose notizie, immagini, emozioni, ecc. pensiamo di contribuire sempre al bene dell’uomo?Non dovremmo cominciare a pensare a tutto ciò? Forse troveremo una strada anche per affrontare gli altri problemi.
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