Svuotare il populismo con soglie di dignità del lavoro in Europa
mercoledì 28 novembre 2018

Il populismo non nasce dal nulla: è l’effetto dello smarrimento dei ceti medi di fronte a globalizzazione e quarta rivoluzione industriale. Ma è un fenomeno che si può sgonfiare con un buon programma in grado di mettere a frutto la massa critica dell’Unione Europea. La storia è nota. A fronte dell’enorme ricchezza digitale di cui tutti disponiamo in rete e dei progressi nell’aspettativa di vita, questa fase storica 'schumpeteriana' – in cui il sistema economico dà priorità a profitti delle imprese e benessere dei consumatori – mette in secondo piano la questione della stabilità e dignità del lavoro. Lavoro che è ben lontano, per molti, dall’essere libero, creativo, partecipativo e solidale come nell’ideale disegnato da papa Francesco e ripreso come titolo delle Settimane sociali dei cattolici italiani.

Per Schumpeter l’essenza del capitalismo sta nell’innovazione, che porta con sé creazione e distruzione di posti di lavoro. Tutto questo genera incertezza che si trasforma in rabbia abilmente sobillata dalle sirene populiste. Per un elettore appartenente a una delle tante mansioni in declino, per un abbandonato sulle rive dal fiume del progresso, per usare un’immagine di verghiana memoria, cosa c’è di meglio di poter andare in pensione prima o avere una zattera di salvataggio rappresentata da un reddito di cittadinanza? Beninteso, una rete di protezione è necessaria e doverosa in una società difficile come la nostra, ma il problema è che sono in pochi ad avere le nozioni economiche di base per capire che esistono delle colonne d’Ercole, dei vincoli di bilancio da non varcare. La settimana scorsa gli addetti ai lavori hanno avuto una percezione chiara di quei vincoli.

L’asta 'patriottica' dei Btp dedicati ai piccoli risparmiatori ha deluso rispetto alle aspettative raccogliendo molto meno del previsto. Creando preoccupazione per il 2019 quando lo Stato italiano dovrà chiedere centinaia di miliardi a risparmiatori italiani ed esteri per finanziare il proprio debito. Che cosa può fare, dunque, l’Europa oltre che segnalare vincoli e paletti? È bastato l’annuncio di un piano francotedesco per un aiuto alle politiche fiscali dei Paesi in regola con i conti (con l’obiettivo di ridurre le divergenze nell’Eurozona) per far capire per un attimo quello che l’Unione Europea potrebbe essere e non è.

Di proposte tecniche sul tavolo che mettano a frutto la massa critica del più grande mercato del mondo ce ne sono già molte. Assicurazione bancaria dei depositi, proposte tecniche per ridurre il peso dei debiti nazionali con o senza condivisione dei rischi, riassicurazione delle reti di protezione nazionali per chi è sotto la soglia di povertà... Sarebbe molto più facile chiedere il rispetto delle regole di bilancio quando, a fronte dei necessari sacrifici, esiste un chiaro beneficio in cambio.

Alle proposte in campo è possibile aggiungerne una molto importante che affronta direttamente la questione della dignità del lavoro. Che non è più difendibile con gli strumenti del passato da quando il perimetro del campo di gioco delle imprese (il mercato globale) è diventato più vasto di quello degli Stati nazionali e la minaccia di delocalizzazione e di perdita di posti di lavoro vanifica qualunque tentativo di aumentare tutele e costo del lavoro per decreto su base nazionale. Quello che un mercato grande come l’Unione Europea può fare è agire dal lato della domanda. Utilizzando il lavoro già realizzato sul mercato del rating sociale e ambientale per definire 'soglie di dignità' del lavoro specifiche per ciascun Paese.

E chiedere ai prodotti che entrano nell’Unione Europea di certificare il superamento di quelle 'soglie', scegliendo uno dei tanti operatori privati del settore per avere accesso a un’imposta sui consumi inferiore a quella massima. Applicando questa regola non solo ai prodotti di un determinato Paese terzo ma anche a quelli interni si eviterebbe l’accusa di dazi e l’avvio di guerre commerciali. Realizzando anche il secondo obiettivo di evitare forme di dumping sociale interno. Sono molti gli ostacoli e le difficoltà che si frapporrebbero dinanzi alla realizzazione di quest’iniziativa.

Ma è la direzione giusta per combattere il dumping sociale, promuovere la dignità del lavoro con un affinamento rispetto a quanto l’Unione Europea già fa con il sistema dei dazi antidumping. I tempi difficili richiedono soluzioni straordinarie. Al posto della sfida kamikaze alle regole europee (che rischiamo di pagare cara) lavoriamo a soluzioni di questo tipo.

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