venerdì 27 ottobre 2023
Il futuro della nostra sanità e del diritto universale alle cure dipende da scelte coraggiose che altrove stanno compiendo
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Se si rimane indietro sulla sanità, si resta indietro su tutto. Questa verità, ampiamente documentata nel corso degli anni da decine di studi in tutto il mondo, appare nel nostro Paese sempre più ignorata, soprattutto a livello politico e decisionale.
Per esempio, per quanto concerne l’economia, un Paese è destinato a impoverirsi se non investe nel proprio sistema sanitario, che infatti contribuisce alla crescita economica secondo lo schema riprodotto in questa pagina.

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Quanto l’Italia è destinata ad arretrare sotto questi punti di vista, se non cambia strada, mi è apparso chiaro a due incontri a cui ho partecipato come consigliere scientifico a pochi giorni di distanza prima in Germania e poi in Francia.

Con tutta la potenza di fuoco derivante da anni di morigeratezza finanziaria e sviluppo economico, sintetizzati in un indebitamento pubblico sul Prodotto interno lordo del 60% (il nostro è attualmente intorno al 150%), ma a fronte dei problemi derivanti dalle tante crisi (economica, geopolitica, bellica, energetica, climatica e sanitaria), la Germania ha deciso di investire in welfare e di riformare il proprio sistema sanitario con innovazioni di portata storica.

La più rilevante è la riforma della Sanità pubblica, con la creazione di un nuovo Istituto federale per la Salute della Popolazione, dotato di un budget di 4 miliardi di euro, con la creazione di 5.000 nuovi posti di lavoro altamente qualificati sia a livello centrale che dei lander. È uno sforzo finalizzato a risolvere l’eccessiva frammentazione regionale che porta a grandi disomogeneità, disuguaglianze e inefficienze e peggiora gli indicatori sanitari del Paese. L’Istituto avrà il compito di armonizzare le decisioni in campo sanitario basandole sulla migliore evidenza scientifica, di migliorare la comunicazione nei confronti degli addetti ai lavori e del pubblico, di incrementare le attività di prevenzione e promozione della salute, di gestire in modo coordinato i dati sia a fini di servizio che di ricerca. Accanto a questo verrà avviato un piano straordinario finalizzato all’assunzione di personale e all’aumento significativo della sua remunerazione.

Intenzioni analoghe in Francia, un Paese che parte da presupposti completamente diversi, con una fortissima centralizzazione e in condizioni di finanza pubblica non brillanti come quelle tedesche.

La Francia ha creato un Comitato nazionale per la rifondazione del proprio sistema sanitario, a partire dal nome del Ministero, che da poco è cambiato diventando Ministero della Salute e della Prevenzione, e sta razionalizzando le proprie Agenzie governative stimolando un più forte coordinamento tra loro, cercando così di evitare le duplicazioni e di sburocratizzare un settore tradizionalmente restio ai cambiamenti.

L’altra direttiva è quella di una maggiore collaborazione tra centro e dipartimenti con la creazione di agenzie sanitarie regionali con cui quelle centrali possano dialogare per armonizzare le decisioni, anche in Francia basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili. Si tratta di non perdere i vantaggi di un Paese storicamente dotato di un’efficace macchina amministrativa nazionale con le ragioni della trasparenza e della rendicontazione nei confronti dei cittadini.

In entrambi i casi l’investimento in sanità è destinato ad aumentare, in modo eclatante in Germania, più contenuto ma consistente in Francia, l’opposto di quello che sta succedendo da noi dove la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Prodotto interno lordo, come certificato dalla Nadef e dalla bozza di legge di bilancio, è destinata addirittura a diminuire anche rispetto all’epoca pre-pandemica, come se il Covid non ci fosse mai stato, con tutte le lezioni che ci ha dato e che molti hanno, evidentemente, dimenticato.

Altro comune denominatore è la competenza delle persone scelte dal potere politico per guidare queste delicate fasi di riforma e transizione che richiedono esperienza consolidata, capacità di leadership e l’utilizzazione di metodologie interdisciplinari particolarmente sofisticate, che devono essere presenti sia a livello centrale che regionale.
In un mondo in tempesta, l’unica possibilità di poter continuare la navigazione tra i Paesi civili, quelli in cui non si nega l’assistenza medica a chi non ha la possibilità di pagarla, è che gli italiani, cittadini ed eletti, comprendano che ignorare i primi l’importanza del Servizio sanitario nazionale e definanziarlo i secondi sarebbe una delle scelte più sciagurate nella storia del nostro Paese, che porterebbe alla negazione di un principio costituzionale che considera la tutela della salute come un diritto umano fondamentale, al pari dell’alimentazione e dell’istruzione.

Succede già oggi che in Italia esso non venga garantito: la spesa sanitaria è la più bassa tra i grandi Paesi dell’Unione Europea, con un numero di posti letto ospedalieri dimezzato dal 1998 (era 5,8 per 1000 abitanti oggi è 3,1), con personale scarso, invecchiato, demotivato e mal pagato, e per questo con milioni di persone che rinunciano alle cure e si impoveriscono individualmente e collettivamente, mentre la Francia e la Germania – la cui Costituzione non lo prevede – consentono ai propri cittadini di non doversi indebitare nel momento del bisogno e con questo promuovono la più formidabile spinta allo sviluppo economico e sociale che un Paese civile possa avere.

Il Servizio sanitario nazionale è stata la più grande opera pubblica del Paese, ha consentito all’Italia un incredibile sviluppo sociale ed economico e ai suoi cittadini, per molto tempo, una vita lunga e di qualità. Il suo smantellamento, come quello in corso, rappresenterebbe il più grande errore che l’attuale classe politica italiana possa fare e un drammatico ritorno al passato per milioni di cittadini a cui verrà crescentemente negato un diritto costituzionale.

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