sabato 25 agosto 2012
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Sta per ricominciare la sagra del gol, il rito laico della domenica – ma anche del sabato e del lunedì, il calcio spezzatino è "no-stop" – della repubblica fondata sul pallone. Un rito che coinvolge tre italiani su quattro, tanti si dicono interessati alla fenomenologia della sfera di cuoio. La Serie A, tra stadio e tv (soprattutto), coinvolge un popolo di calciofili stimato intorno ai 30 milioni di connazionali. Interesse e passione per un gioco nazionalpopolare, ma che giova ricordare, è ormai prima di tutto un’industria. Un’impresa in crisi, il calcio, come tutte le realtà nazionali pubbliche e private alle prese con la spending review. Così, in un decennio, siamo passati dall’etichetta autoconfezionata e superbamente italica di «campionato più bello del mondo» a quella di «torneo più indebitato del pianeta calcio».A voler essere statistici e tassonomici, come imporrebbe ogni match da febbre a 90’, la leadership di campionato più indebitato del mondo spetta alla Liga spagnola che con i suoi 3,5 miliardi di "rosso" è a rischio fallimento. Se non è ancora stato dichiarato il crac, è solo grazie all’effetto placebo dei successi della nazionale di Spagna (campione d’Europa e del Mondo in carica) e delle due grandi sorelle Barcellona e Real Madrid. Anche noi, con un gap da 2,4 miliardi di euro, ci teniamo ancora su con una nazionale vicecampione d’Europa e qualche scampolo di fantasia che possiedono quei signori «ricchi e un po’ stupidi», come Beppe Viola usava definire i presidenti d’un tempo delle società di calcio. E, poi, così come ieri si esagerava con la marca d’eccellenza, ora ci si consegna con slancio alla autocommiserazione del «campionato povero e mai più bello come una volta». E invece proprio l’austerity, con cui niente affatto stupidamente si sta cercando di risanare le casse del Paese, e pure dei nostri club, può segnare una svolta, anche nel futuro dell’azienda calcio.La stagione che sta per cominciare potrebbe essere quella della "Serie A-nno zero". Più poveri, vero, come sputa a distanza sul piatto in cui ha mangiato fino a poco fa, il girovago del gol Zlatan Ibrahimovic, che si è sistemato nell’harem calcistico del Paris Saint Germain per la modica cifra di 14 milioni di euro a stagione. La stessa cifra che in media le nostre società finora hanno speso sul mercato, rinunciando alle stelle dai prezzi proibitivi e ripiegando – pardon, puntando – finalmente sui giovani. Quelli nati e cresciuti in Italia, che hanno fatto la fortuna della Juventus di Antonio Conte e della Nazionale. A proposito di Conte, la sua vicenda (e la condanna a 10 mesi lontano dalla domenicale panchina) legata allo scandalo di Scommessopoli ci ricorda che purtroppo dal 1980 a oggi, il nostro pallone passa continuamente dal campo all’aula del tribunale. Un triste e assurdo iter al quale sarebbe il caso di porre fine, una volta per tutte.Ma affinché questo possa diventare davvero "il campionato degli onesti", c’è bisogno soprattutto di una Lega di Serie A che abbia il coraggio e la trasparenza di esprimere al proprio vertice un presidente che sia anche il patron di uno dei 20 club che devono essere rappresentati in maniera equa e solidale. Il "supplente" Maurizio Beretta, già da tempo avrebbe dovuto lasciare la presidenza della Lega di A, ma il tentativo d’intesa su un degno sostituto s’è rivelato un’impresa. Finché continuerà a prevalere questa paura di rompere con il passato (calcio legato a politica e a lobby finanziarie), sarà difficile ricollocarci al vertice del pallone mondiale e le vittorie del campo, la Spagna lo dimostra, sono solo un palliativo contro i grandi mali del sistema. Finché non passerà la legge sugli stadi di proprietà dei club (a settembre la terza lettura in Senato, incrociamo le dita!), questi continueranno a sopravvivere con i ricavi tv, rendendo lo spettacolo calcistico sempre più virtuale e mortificando ancora gli spalti, desolatamente vuoti. Continuando così non ci saranno più sponsor (né investitori stranieri) ben disposti verso il nostro calcio.Ma pensiamo positivo. E ora che siamo al calcio d’inizio, ricordiamoci che abbiamo più di un secolo di storia aurea e una tradizione infinitamente ricca anche al cospetto della cassaforte degli "sceicchi" di Francia e d’Inghilterra. Possediamo scuole che continuano a sfornare i migliori manager e tecnici del mondo. Nei vivai stanno sbocciando decine di talenti che, proprio grazie alla crisi, stanno trovando più facilmente posto in prima squadra. E con la novità dell’ultimo minuto, la "panchina lunga fino a 12 elementi", nessuno verrà più mortificato con l’emarginazione in tribuna. Tutti potenziali titolari, per la gioia appassionata di tifoserie calde che quando non trascendono nell’assurda violenza da stadio rappresentano davvero il 12° uomo in campo. Noi tutti siamo quel 12° uomo, pronti a sostenere e a entusiasmarci per una "Serie A-nno zero".
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