Segni e parole della fede: il dovere di coerenza
sabato 25 maggio 2019

Caro direttore,
dopo le tante vergognose Ce arroganti parole e polemiche di questi ultimi giorni circa l’accoglienza, o meglio, circa il rifiuto di salvare e accogliere gli immigrati che fuggono da situazioni di povertà, di fame e di guerra, sento il bisogno di condividere con lei e con i lettori di 'Avvenire' una riflessione che mi urge dentro come donna, religiosa e missionaria. Sono rimasta indignata di fronte agli slogan blasfemi usati durante incontri di piazza per sostenere posizioni discriminatorie e razziste.

Una strategia volgare, che punta a ottenere consensi a basso costo. Le scene di questi ultimi giorni hanno fatto vergognare tanta parte di un Paese che ben vanta una lunga esperienza di dignità e rispetto, condivisione e accoglienza. Un Paese che ha sperimentato sulla sua stessa carne il dolore dell’emigrazione. Prima e dopo le grandi guerre del Novecento milioni di concittadini sono stati costretti ad andare all’estero in cerca di opportunità. Forse abbiamo perso la memoria del nostro passato. Il che è allarmante. In una società in cui sono in calo le nascite, mentre crescono le esigenze per la cura dei nostri anziani a chi sono affidati i nostri genitori bisognosi di assistenza giorno e notte? Sono proprio le donne che provengono dai Paesi dell’Est Europa o dall’Africa o dall’America Latina quelle cui affidiamo le nostre case, i nostri anziani e anche i nostri bambini.

Queste persone che bussano alle nostre porte dopo aver affrontato viaggi massacranti diventano parte del nostro tessuto sociale, della nostra umanità, desiderosi di condividere gioie e speranze per un mondo dove tutti possiamo riconoscerci fratelli e sorelle. Alcuni, come altri nostri connazionali, sbagliano. Ma perché vengono criminalizzati in blocco e 'usati' per farci paura? Perché tanta arroganza contro di loro, specie da parte di chi dovrebbe rappresentare le istituzioni? Perché arrivare addirittura a manipolare i simboli sacri che parlano di amore, di fratellanza, di accoglienza e di condivisione per giustificare gesti e discorsi di violenza, di chiusura, di intolleranza? Ho ancora nella mente la terribile scena di discriminazione avvenuta in un quartiere di Roma in cui si voleva rifiutare l’alloggio assegnato ad una famiglia rom in Italia da tanti anni e con 12 figli.

Che vergogna quegli insulti e che orrore quella scena di sacchetti di pane destinate a famiglie bisognose buttati per terra e calpestati sotto i piedi. Veramente un atto sacrilego, come se si calpestasse l’Eucaristia. Come possiamo ancora chiamarci cristiani e dirci discepoli di quel Gesù che ci disse che 'tutto ciò che avremo fatto al più piccolo dei suoi fratelli lo avremo fatto a lui?'. Com’è possibile riconoscere Cristo nell’Eucaristia e nel suo Vangelo se non lo riconosciamo nel fratello che vive accanto a noi? Il nome di cristiani non ci viene dato solo per il battesimo ricevuto da piccoli, ma è un titolo di appartenenza che implica uno stile di vita e di pensiero. Tutti siamo quindi chiamati a essere coerenti non solo a parole o quando ci fa comodo, bensì con la testimonianza della nostra vita quotidiana e particolarmente nelle nostre responsabilità civili e familiari.

Caro direttore, desidero terminare questa riflessione con un’immagine che mi è rimasta fissa nella mente e nel cuore: il piccolo Alan Kurdi, il bambino curdo-siriano di tre anni, annegato insieme a sua madre e quasi tutti i suoi familiari nel mare tra Turchia e Grecia. Il piccolo Alan fu trovato morto sulla spiaggia turca di Bodrum il 2 settembre 2015, sbattuto dalle onde e depositato sulla sabbia. Da allora chi può contare il numero dei bambini innocenti inghiottiti dalle onde del mare insieme ai loro genitori perché non sono stati soccorsi in tempo e non hanno avuto vie sicure nel loro viaggio? Questi racconti ci ricordano che la strage degli innocenti non è finita al tempo di re Erode.

La stessa furia cieca, che non esita a sacrificare innocenti alla propria brama di potere, è ancora presente in mezzo alle nostre società e Paesi così detti emancipati. Purtroppo ancora oggi ci sono tanti re Erodi che, pur di non perdere il potere, calpestano ingiustamente i diritti dei poveri e degli ultimi. Eppure, dovremmo ormai sapere che alla fine della nostra 'carriera umana' saranno proprio questi ultimi a giudicarci. Speriamo di non sentire dalle loro labbra: 'Ero forestiero e tu non mi hai accolto; ero in mare e tu non mi hai soccorso; ero affamato e tu... e tu...e tu...'. Grazie.

Missionaria della Consolata e presidente dell’associazione 'Slaves no more' Roma

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