Se il calcio è un mercato, c'è una logica industriale
giovedì 12 luglio 2018

C’è la prosa e c’è la poesia. E stanno benissimo insieme. Come il bianco con il nero, come la panna sulle fragole, come una coppia di dadi che se li lanci danno sempre 12. Che poi sarebbe cinque più sette. Un numero qualsiasi aggiunto alla maglia di Cristiano Ronaldo. Il top, il massimo, l’eccellenza. Dice il poeta che con CR7 la Juventus ha comprato il genio e la fatica, uno che quando colpisce di testa sfiora le nuvole, che segna pure se tira da fuori lo stadio, che ha fame (di coppe, di vittoria, di gloria) anche quando ha appena mangiato. E non lo freghi neppure sul fisico, sulla puntualità, sul lavoro. Sempre primo per distacco agli allenamenti e ultimo ad andarsene, un culto quasi ossessivo del corpo, niente alcol né movida, addome da culturista e testa sincronizzata sulla prossima sfida, sull’ennesimo dribbling. Come se fosse ogni volta il primo. E l’ultimo.
Eppure, perché anche nelle storie più belle bisogna sempre aggiungere una parentesi e un puntino di sospensione, la poesia non basta a spiegare Ronaldo a Torino. Perché d’accordo l’ossessione bianconera per la Champions League, va bene l’orgoglio di esibire uno dei più forti attaccanti del mondo, ma nel calcio di oggi drogato di sponsor e diritti tv, niente si muove senza l’ok dei guardiani dei bilanci. Serve un via libera diverso dalle iperbole e dai giochi di parole, giocato non sul battito del cuore ma sul ticchettio della calcolatrice, più sulle parabole della Borsa che sui cross da fondo campo, più sui listini di Piazza Affari che sul modulo di gioco, sia il 4-3-3, il 4-2-3-1 o il 3-5-2. Visto con gli occhiali del manager e dell’industriale, Cristiano Ronaldo alla Juve è la storia di un’azienda che ne compra un’altra, è una fusione commerciale, una holding che si sposa con una stratosferica macchina pubblicitaria. In bianconero approda un marchio seguito sui social da 313 milioni di followers contro i 50 di chi l’ha appena assunto, un uomo brand da 81,7 milioni annui di guadagno, uno “zio paperone' che muove una fila di sponsor lunga così, che siano shampoo, compagnie aeree o automobili. Sì, adesso quel lungagnone milionario, con gli orecchini brillanti e i capelli sempre aggiustati di fresco, arriva in Italia, alla corte di una squadra che nel 2006 era in B e schierava Paro e Boumsong, con tutto il rispetto.
Sembra il Mesozoico ma si è dovuti passare anche da lì per arrivare alla dorata attualità di oggi, ai sette scudetti di fila, alle quattro Coppe Italia, alle due finali Champions, a un fatturato balzato da 172,1 a 562,7 milioni di euro. E ancora non basta. Le cifre, i numeri sono destinati fatalmente a salire. Fatti due conti, gli esperti calcolano un 20% in più dal settore commerciale e pazienza se intanto gli abbonamenti sono saliti del 30% e una maglietta di CR7 in bianconero costa 145 euro. Perché c’è la coda allo 'Juventus Store', perché tutti vogliono vedere il campione, guardarlo dal vivo, “indossarlo”, verrebbe voglia di dire. E perdonarlo persino per decisioni come quella di affittare grembi di donna per 'farsi fare' i figli desiderati a ogni costo. In Italia e nel mondo intero, tutti lo vogliono. Tanto da far diventare importante ogni sfida, comprese quelle inutili, dalle amichevoli di agosto alla Supercoppa che si giocherà in Medio Oriente, persino gli allenamenti alla Continassa, la nuova casa juventina a fianco dello Stadium. E chissà che festa al primo gol. Magari in rovesciata, all’altezza delle nuvole, sospeso come un acrobata che cammina sul filo. Senza paura di guardare giù.

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