martedì 15 ottobre 2013
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La più in disuso è la parola "permesso", intesa come «posso fare questo?». Quale figlio lo dice più, alzandosi da tavola? Quale marito, quando cambia programma con il telecomando? Quale moglie, quando decide che il sabato pomeriggio si va tutti al centro commerciale? Papa Francesco l’ha riesumata domenica, nell’omelia della Messa che ha concluso le Giornate mariane nell’Anno della Fede. Insieme con "scusa" e "grazie", ha indicato il Pontefice, "permesso" è la parola-toccasana della casa. Come i piatti tirati e la "rifatta pace" tra sposi prima che finisca la giornata, evocati il 4 ottobre ad Assisi, ecco un’altra perla di saggezza, di quelle che molti nonni sanno ancora offrire: «Se in una famiglia si dicono grazie, scusa e permesso, la famiglia va avanti». Dammi tre parole... e meriterebbe di diventare un tormentone analogamente a quella canzone estiva che, anni fa, si riferiva a «Sole, mare, amore... ».Oltre a "permesso", nelle nostre case scarseggia anche la parola "grazie". Magari si pronunciano spesso con gli estranei, perché la forma lo richiede. Ma tra genitori e figli, o tra marito e moglie... E non si tratta del "grazie" che ci si aspetta per un regalo o per una concessione straordinaria, ma per le cose normali, d’abitudine. Grazie perché anche oggi mi hai rassettato il letto. Grazie perché al supermercato ti sei ricordato/a del quaderno che mancava. Grazie perché sei uscito/a in fretta dal lavoro per venirmi a prendere in palestra. Grazie perché mi fai compagnia quando sono giù di corda.E poi c’è "scusa". In verità non è poi così vero che si fatica a dirlo. I figli lo ripetono di continuo, di fronte a un ritardo o a un rimprovero viene facilissimo – "scusascusascusa", recitano tutto d’un fiato gli adolescenti – , salvo poi comportarsi esattamente come prima. Lo "scusa" suggerito dal Papa – insieme a "permesso" e "grazie" – vuol dire qualcos’altro. Vuol dire che in casa ci si rispetta, si ha considerazione l’uno dell’altro, si valutano preziosi i gesti e il tempo reciprocamente donati, non si dà per scontata una fatica, si tengono in conto i pensieri e i sentimenti di chi sta accanto. Che sia il segreto di una famiglia che "va avanti", come afferma il Papa, è indubbio, perché, per l’appunto, dietro a tre semplici parole c’è un modo di stare insieme. Non una forma, ma una sostanza. Non buona educazione (e sarebbe già qualcosa di significativo), ma tenerezza, affetto, riconoscenza, consapevolezza che si sta percorrendo un cammino impervio, la vita, ma insieme su un sentiero condiviso. E per chi crede, supportati anche da un modello, come lo stesso Papa ha indicato domenica: Maria, che subito dopo lo sconvolgente annuncio dell’Angelo, trova parole di gratitudine: «L’anima mia magnifica il Signore!».A ben guardare, le tre parole che Papa Francesco ha posto come base del buon funzionamento della famiglia dovrebbero essere i mattoni di qualunque aggregazione. In ufficio, per esempio, si lavorerebbe meglio se ognuno vedesse nel collega non un ostacolo da abbattere, ma una persona a cui chiedere "permesso". Non un subalterno da mettere sotto pressione, ma un collaboratore cui rivolgere un "grazie". Non un vicino di scrivania da sommergere di maldicenze, ma un compagno di strada cui domandare "scusa". Negli ambienti di lavoro, e anche per strada, al mercato, nelle aule scolastiche, al bar, nelle autostrade... dammi tre parole. Anche non in rima.
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