lunedì 28 aprile 2014
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Se non vogliamo Bruxelles, vorremo forse Kiev? Qualcuno pensa che Vladimir Putin non abbia sul tavolo ogni mattina una ricca rassegna stampa internazionale? Le semplici risposte a questi due interrogativi retorici spiegano perché la partita sull’Ucraina si gioca ormai tra Mosca e i lontani Stati Uniti, con un ruolo sempre meno forte ed efficace dell’Europa. E questa conclusione dovrebbe preoccuparci molto di più di quanto non stiamo facendo. La campagna elettorale per l’elezione del Parlamento di Strasburgo ha ormai assunto in molti Paesi, Italia compresa, i toni paradossali dell’anti-europeismo, declinato con varie sfumature, dal moderato invito a un cambiamento delle politiche comunitarie all’esplicito nazionalismo mirato a ridurre il più possibile l’influenza continentale sulle decisioni dei singoli Paesi. Non è difficile immaginare come possano considerare la sempre più drammatica questione ai confini orientali dell’Unione le forze così schierate per conquistare i voti di elettori sempre più dubbiosi e disorientati, anche per effetto della crisi. È lecito quindi dedurre che il Cremlino stia approfittando di questo momento di debolezza europea, in cui i governi in carica esitano a spingere sull’acceleratore del confronto con Mosca per non compromettere eccessivamente scambi commerciali e forniture energetiche. Quando le opinioni pubbliche nazionali sono poco propense a "morire per Danzica", ha buon gioco chi vuole mettere gli avversari di fronte al fatto compiuto. Si tratta di quello che la Russia potrebbe fare nell’Est dell’Ucraina, una regione per lei strategica, industrialmente e militarmente, nella prospettiva "imperiale" che il Cremlino ha da tempo adottato. Senza troppo successo cercano di compattare il fronte occidentale gli Stati Uniti di un Barack Obama forse colpevolmente spiazzato dal Putin per nulla arrendevole di fronte a ultimatum e minacce di sanzioni. Fino a dove si spingerà la scommessa di Mosca di una "conquista" per procura dei territori abitati da russofoni, sostenuti da forze speciali infiltrate? Il limite sarà fissato anche dalla volontà di ciascuno dei principali attori europei di agire e di "spendere" qualcosa in proprio. Sappiamo che in passato la Ue ha parzialmente illuso Kiev con la prospettiva di un’adesione e che poi ha frenato proprio perché alcuni suoi membri si sono opposti a questa prospettiva. Ora, più di un debito morale nei confronti di un Paese i cui leader portano forti responsabilità per irresolutezza e opportunismo, abbiamo da onorare l’idea stessa di un’Unione che non sia soltanto una tigre di carta, per dirla con Mao, ma un vero soggetto capace di fare rispettare la legalità internazionale ai propri confini. Di questo dovrebbero parlare, se non avessero il paraocchi d’interessi di corto respiro, i candidati all’europarlamento. Ma probabilmente non hanno mai studiato la storia. Oppure preferiscono ignorarla. Come ha fatto ancora ieri Silvio Berlusconi a proposito dei lager nazisti e della Germania. O come fa, ogni volta che può ai più diversi propositi, Beppe Grillo. Per demolire l’Europa che misura i cetrioli rischiamo di sottovalutare minacce enormemente più gravi. E di privarci di uno strumento per contrastarle.

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