Le parole e i fatti
sabato 12 novembre 2016

Matteo Salvini è ovviamente libero di amare, o non amare, il “prossimo” che preferisce. E se il segretario della Lega proclama di disprezzare gli uomini, le donne e i bambini che sono “profughi” dalla guerra, dalla fame o da altre calamità provocate dall’odio e dall’egoismo di cui gli esseri umano sono purtroppo capaci, e se conferma di saper infangare con veemenza i “preti della carità”, verrebbe da dire che in fondo sono solo tristi affari suoi, di chi lo segue e di chi lo considera un politico credibile e addirittura un leader possibile per l’area che è stata (a torto o a ragione) chiamata “moderata”. Leggete però le sue parole e la tentazione di alzare le spalle passerà: «Noi amiamo il nostro prossimo come noi stessi, ma non il profugo nostro come noi stessi, come qualche parroco mangiapane a tradimento, che parla di accoglienza perché ci guadagna un sacco di soldi».

Già non si può fare a meno di prendere atto che dopo «migrante economico» Salvini e i suoi sono arrivati a rendere un insulto anche il termine «profugo». Eppure noi italiani sappiamo come stanno le cose. «Migranti economici» lo siamo stati con dignità e pena nei due secoli alle nostre spalle. E profughi pure: dall’Istria, dalla Dalmazia, dalla Libia... in anni non così lontani da consentire innocenti smemoratezze ora che sono caduti i vecchi silenzi e le vecchie disattenzioni su quei drammi, silenzi e disattenzioni deliberati, frutto di ideologia e cattiva coscienza.

Proprio come certe invettive contro i migranti e i profughi di oggi. Per i quali – e non è esclusiva consapevolezza di cristiani – ci devono essere civili regole, non arrogante e pregiudiziale rifiuto. Per questo il lessico salviniano da permanente comizio di piazza riesce a suonare, oltre le sue stesse intenzioni, anti-italiano tanto quanto xenofobo. E questo la dice lunga sulla china disastrosa su cui s’incammina chi non sa vedere faccia e storia del “prossimo” e arriva a trattare addirittura da nemici i poveri e i perseguitati che stanno alla nostra porta.

Solo parole? Solo espressioni, appunto, da comizio? Sì, soprattutto parole. Ma le parole possono fare male, e quando diventano termini di legge (come quelli che hanno portato alla vergogna, oggi sospesa ma non ancora cancellata, del “reato di clandestinità”) s’impastano coi fatti e possono fare malissimo. A questa de-civilizzatrice deriva non si può e non si deve acconsentire.
Ma non si può nemmeno tacere a proposito dello sproposito reiterato e feroce contro i «parroci mangiapane». Anche qui il politico Salvini dimostra di non rendersi conto di quel che dice e della profondità delle ferite che provoca non soltanto ai disprezzati “stranieri”, ma anche ai suoi stessi concittadini di fede cattolica.

Sporca, infatti, immagini e realtà che dovrebbe saper rispettare se non per convinzione, almeno per tradizione. Quella tradizione che lui e i suoi invocano, e che però, evidentemente, non conoscono così bene. I sacerdoti sono gli uomini del Pane condiviso, del “prendete e mangiate”. Sono gli uomini che seguono il Tradito per eccellenza.

E lo impersonano nell’atto della consacrazione che Cristo stesso ci ha insegnato per restare con Lui. E quando spalancano le braccia e aprono le porte a chi ha fame e sete, a chi è malato, carcerato e straniero fanno esattamente ciò che dovremmo saper fare tutti se sappiamo intendere la parola di Gesù che giudica il senso e l’esito della nostra vita e che l’evangelista omonimo del segretario della Lega (Matteo, 25, 31-46) ci consegna e riconsegna con inesorabile chiarezza: «L’avete, o non l’avete, fatto a me»... Già altri, in un passato, osarono parlare con supponenza di «business dei poveracci» a proposito della carità cristiana. E non gliene venne un gran bene. E seppero cambiare opinione e ammettere superficialità ed errore.

Auguriamo a Salvini lo stesso. Si corregga, se ne è capace. Questa intelligenza dell’autocorrezione, e non la jattanza e non il disprezzo, è una virtù da vero leader. Un’occasione buona, adesso che ha sbrigato la pratica del gran comizio del fine settimana, può offrirgliela la cantonata dei deputati leghisti che si sono dimenticati del “sì” del loro segretario ai «corridoi umanitari» per i richiedenti asilo in Italia ed Europa come alternativa reale e ben regolata al traffico di essere umani migranti. E martedì hanno sonoramente votato contro alla Camera. Eppure il favore di Matteo Salvini era stato pubblicamente dichiarato a Radio Padania e dagli schermi di Canale 5 (entrambe le volte in dibattito con me, che ne sono testimone al pari di spettatori e ascoltatori). Ricominci da lì, se può, se vuole, se ne ha coraggio, il segretario leghista. E ci dimenticheremo delle sue battutacce da comizio.

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