La prescrizione va salvata facendo giustizia
sabato 3 novembre 2018

Suscita roventi polemiche la mossa annunciata (quasi) a sorpresa del ministro Bonafede, per sospendere sine die il corso della prescrizione penale una volta finito il processo di primo grado. Una critica di metodo è certamente legittima: quella di voler infilare con un emendamento in una normativa specifica – la cosiddetta 'spazzacorruzione' – una regola palesemente estranea perché destinata a valere per qualsiasi reato.

Forzature del genere sono un vecchio vizio di ministri e parlamentari di ogni colore, ma il fenomeno sta assumendo dimensioni e particolarità sempre più tra il preoccupante e il ridicolo (il 'caso Ischia' insegna). Nel merito, la proposta appare eccessiva, per quanto in passato essa abbia avuto il sostegno di giuristi autorevoli e tutt’altro che forcaioli. Ma sarebbe opportuno anche non esagerare con i toni da scandalo.

Un punto che andrebbe finalmente chiarito, senza esasperazioni unilaterali, è quello dell’ambiguo rapporto tra la disciplina legislativa della prescrizione e il principio costituzionale (art. 111) della ragionevole durata dei processi. Si dice, e non del tutto a torto, che con la proposta pentastellata prende corpo il rischio di processi che durino all'infinito, a lesione di tale principio e con una innegabile iniquità, quantomeno quando sia il pubblico ministero a impugnare una sentenza di assoluzione (anche se resterebbero pur sempre in piedi come deterrenti la possibilità di censure a opera della Corte europea di Strasburgo e la 'legge Pinto', che configura sostanziosi risarcimenti per le violazioni di quel principio a prescindere dall’operare o meno della prescrizione).

Si osserva poi che la più alta percentuale di prescrizioni si registra già in fase di indagini preliminari e non davanti alle Corti di appello o alla Corte di cassazione. Vero anche questo; ma ciò accade soprattutto perché i magistrati inquirenti accantonano certi fascicoli, sol perché già si può dare per scontato che, se si andasse avanti, la prescrizione, prima o poi, scatterebbe comunque... In ogni caso è notorio che gli appelli sono spesso usati soltanto per cercare di portare avanti il processo, in modo da far scattare, mal che vada, la prescrizione; e vengono proposte impugnazioni che altrimenti sarebbero ritenute indecorose da qualunque difensore.

Colpa degli avvocati? No, colpa del sistema; ma non si venga a dire che, in un simile contesto, la presenza della prescrizione è sempre a garanzia del principio della ragionevole durata del processo e addirittura pilastro dello Stato di diritto... Una soluzione abbastanza equilibrata, sul punto, si è trovata con la 'riforma Orlando' della scorsa legislatura: oggi, perciò, la prescrizione resta sì sospesa, ma solo per diciotto mesi quando si va in appello e per altri diciotto mesi durante il giudizio di Cassazione. È sufficiente perché si possa essere del tutto appagati? Direi di no, e non solo perché i processi continuano a durare troppo per un complesso di cause strutturali, ciascuna, di per sé, riconducibile a buoni principi, e però costitutive, nel loro combinarsi, di un cocktail micidiale (l’elenco sarebbe lungo...).

Più di una goccia, in questo cocktail, continua in ogni caso a portarla un’altra componente – la più basilare – della tradizionale (e attuale) disciplina della prescrizione processuale. Il relativo corso comincia infatti a decorrere dalla data della commissione del reato, e questo può rimanere per anni occultato, specialmente quando si tratta di corruzione o simili, dato l’interesse a tacere, che normalmente accomuna tutte le persone coinvolte e data la difficoltà dell’emergere di prove documentali o testimoniali.

Perché, allora, non si comincia a voltar pagina dal punto di partenza? Perché, insomma, la prescrizione non viene invece fatta decorrere dal giorno in cui la notitia criminis perviene alla polizia o al pubblico ministero, così da azzerare alla base il tempo in cui i potenziali inquirenti restano inerti unicamente perché non sanno nulla del delitto? Il fatto è che proposte del genere – pur modellate sulle esperienze di altri Paesi – sono sempre rimaste dei conati di qualche vox clamantis in deserto, preferendosi spendere energie in una sorta di torneo al pallottoliere, con vorticose alternanze di allungamento e di accorciamento dei termini di prescrizione a seconda del soffiare del vento dentro e fuori delle aule parlamentari. E, questo, senza riuscire mai a garantire processi rapidi ma non sommari né a scongiurarne esiti fallimentari. Quelli che la prescrizione, se viene a scadenza, certifica.

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