venerdì 7 giugno 2013
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Non sempre è facile, nel sentire comune, distinguere tra migranti e rifugiati, tra chi lascia il proprio Paese e chi è costretto a partire a motivo di guerre, persecuzioni, disastri ambientali o perché vittime di tratta per lavoro o per sfruttamento sessuale. È una distinzione, invece, importante, che richiede un differente approccio culturale e politico, sociale e pastorale. È una distinzione, però, difficile, per la complessità e la molteplicità di fenomeni della mobilità umana che oggi interessano oltre 200 milioni di persone. A questi mondi in cammino si accompagnano anche gli apolidi – che in Italia nel decennio appena trascorso sono passati da 35.000 a 70.000 –: persone riconosciute come cittadini da nessuno, senza una città. Per conoscere e orientare l’accoglienza dello specifico mondo di almeno 50 milioni di persone costretto a mettersi in cammino forzatamente, il Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti e Cor Unum hanno voluto pubblicare gli Orientamenti pastorali «Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate», quale segno della sollecitudine della Chiesa per l’unica famiglia umana di cui tutti sono parte (n.9). Gli Orientamenti invitano a non dimenticare la dignità umana (n.25) e l’attenzione alla famiglia dei profughi, richiedenti asilo e rifugiati, delle vittime di tratta (n.27); fanno appello alla carità e alla solidarietà dei cristiani (n.28), ma soprattutto alla cooperazione internazionale, perché la situazione drammatica non perduri a lungo (32); invitano a non dimenticare l’accompagnamento religioso e spirituale delle persone in fuga (n. 37). Una parola tra tutte guida gli Orientamenti: protezione. Protezione sociale e umanitaria, nelle diverse forme indicate dalle Convenzioni internazionali e anche in nuove  – come nei Centri di detenzione –, per andare incontro alla complessità dei fenomeni, sono gli strumenti di tutela delle persone rifugiate e richiedenti asilo, sfollati, vittime di tratta, apolidi. Nessuno, soprattutto se donne e bambini, famiglie vittime di forme nuove di schiavitù, può essere dimenticato. Ogni persona, ogni Stato deve sentirsi responsabile di ogni persona e famiglia costrette a una migrazione forzata. Ogni «Chiesa locale deve impegnarsi pastoralmente con le persone in mobilità. Il suo interesse deve essere visibile nei servizi forniti da parrocchie territoriali o personali, da "missiones cum cura animarum, congregazioni religiose, organizzazioni caritative, movimenti ecclesiali, associazioni e nuove comunità» (n.89), oltre che da forme nuove di collaborazione tra le Chiese di partenza e di arrivo dei migranti. In particolare, si richiama l’importanza «innanzitutto e soprattutto» della parrocchia che può così vivere in modo nuovo e attuale la sua antica vocazione di essere «un’abitazione in cui l’ospite si sente a suo agio», come aveva ricordato il beato Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato del 1999. «Operatori di pace», conclude il documento, sono coloro che camminano a fianco di coloro che sono rifugiati e vittime di tratta, riconoscendo in essi il volto di Cristo, meglio, «la carne di Cristo», come ha ricordato Papa Francesco.
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