Città e paesaggi segno del rapporto tra natura e uomo
venerdì 5 giugno 2020

Natura e uomo convivono, accarezzandosi e combattendosi. Le città e i paesaggi sono il segno di questo rapporto non 'meccanico' ma culturale, e non privo di contraddizioni. Conosco molti amanti della natura che esibiscono prodotti 'bio' e comportamenti 'naturali' e che però non esitano a scacciare anche in modo cruento e sgarbato topi e scarafaggi che osino fare capolino nei dintorni delle loro abitazioni. Il rapporto con la natura, espresso dal modo di abitarla da parte dell’uomo, è sempre un fatto culturale. Città e paesaggi sono sempre comprensibili entro dinamiche culturali. Lo richiamava autorevolmente Franco La Cecla su queste colonne, mettendo sull’avviso quanti vorrebbero far coincidere l’immagine di città con i dettami, se pur di ordine presuntivamente scientifico, del potere dominante in questa epoca sconvolta dalla pandemia, così come accadde in passato. Non sempre infatti l’idea di uomo che alberga nella mente di chi governa Stati e comunità umane coincide con le esigenze abitative e di congregazione di chi in quelle comunità vive. Possono accadere eventi, come la recente pandemia, che sovvertono le esigenze e illuminano guasti e difetti.

Più parchetti e meno parcheggi è forse uno slogan che oggi molti abbraccerebbero, mentre fino a ieri la 'viabilità', con annessi e connessi, pareva un bene assoluto a cui sacrificare ogni altra esigenza. Lo stesso vale, ad esempio, per l’utilizzo di materiali usa e getta fino a poco fa considerati – e non a torto – 'killer', che ora invece di nuovo si invocano usati in gran quantità. Senza contare che mai come in questo periodo ci siamo scoperti refrattari a una vita da 'tana'. Non a caso le piazze – con chiesa e municipio – sono un simbolo della nostra civiltà, la stessa che edificava ospedali bellissimi per onorare l’uomo fragile.

Pochi giorni fa durante un incontro della Cattedra del Paesaggio, meritoria iniziativa dell’amministrazione di San Severo nella persona di Fabio Mucilli e del poeta Enrico Fraccacreta, ne discutevo con Paolo Colarossi, a lungo docente di progettazione urbanistica alla Sapienza. Forse il connubio tra urbanisti e poeti e letterati, come intuito dai promotori della Cattedra del Paesaggio, potrebbe dare materia di riflessione ad amministratori e costruttori. Del resto, dalla visione della metropoli nei 'Fiori del male' di Baudelaire, a quella di 'Poeta a New York' di García Lorca, fino alle per me meno interessanti 'Le città invisibili' di Calvino, molti sono i poeti e gli scrittori che dell’abitato umano hanno fatto materia della loro visione. Alfonso Gatto partecipò alle discussioni che in epoca 'razionalista' accesero polemiche, come riportato nel bel volume 'Scritti di architettura' edito da Aragno curato, non a caso, da uno studioso e narratore come Giuseppe Lupo.

Anche più recentemente, dagli interventi sull’architettura di un poeta come Vittorio Sereni, alle visioni di Milano di De Angelis o Fiori, o della Roma di Aurelio Picca o di Yari Selvetella, fino agli scorci di Guido Conti di Daniele Mencarelli e Luca Doninelli si possono trovare punti di vista fertili di scrittori da porre accanto e non contro quelli di specialisti. Alcuni scrittori, non di rado, hanno dialogato con architetti e urbanisti. Ma certo si può fare di più.

Prossimamente sulla rivista 'clanDestino' si riprenderà la questione. Sono sicuro che sull’esempio della sanseveriana Cattedra del Paesaggio, iniziative simili – di taglio anche didattico e divulgativo – possono fornire idee e criteri all’abitante oggi spaesato di un pianeta che non smette di sorprenderci.

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