lunedì 10 gennaio 2011
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Nell’acqua immota di uno stagno, basta la caduta di un semplice sasso per sconvolgerne la rigida calma. E nella palude dell’immobilismo politico che da decenni caratterizza tutta la sponda sud del Mediterraneo, quel malessere ormai incancrenito di disagio sociale, aspettative economiche frustrate, mancata rappresentanza politica, rabbia per la diffusa corruzione e per le strutturali inefficienze è sempre lì, pronto a riemergere. L’occasione classica è fornita dai rialzi dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità, o dei prodotti energetici, fortemente sussidiati in quasi tutto il Medio Oriente, che rappresentano una trappola politico-economica da cui quei Paesi non riescono a uscire. Mantenere artificialmente bassi i prezzi del pane e della benzina dissangua finanziariamente i governi; ma lasciarli crescere significa immancabilmente generare proteste, caos, rivolte che mostrano quanto profonda sia l’insoddisfazione popolare. E quanti, fra gli abitanti di quella sponda così tormentata del nostro Mar Mediterraneo, vivano sullo scivoloso confine della povertà e della mera sussistenza.Non stupiscono quindi le violenze e le proteste che scuotono in questi giorni Algeria e Tunisia. È successo in questi anni quasi ovunque, dal Marocco all’Egitto, dalla Giordania fino all’ambizioso Iran di Ahmadinejad. I governi cercano di presentarli all’opinione pubblica internazionale come semplici problemi di conti che non tornano, in tempi di crisi economica e, nel caso algerino, di basse quotazioni degli idrocarburi, che riducono le disponibilità finanziarie. Ma è evidente come il problema risieda nel colossale fallimento dei regimi politici che si sono formati in Medio Oriente con la fine del dominio coloniale europeo. Le enormi aspettative politiche e sociali sono andate deluse. Non vi è stato progresso, non vi è stata libertà, non vi è stato benessere. Perduti nel labirinto della loro sclerosi politica, i Paesi arabi sono finiti intrappolati fra regimi autoritari e corrotti e le ciniche trame dei movimenti islamici radicali, i quali cavalcano questa delusione per accrescere il loro consenso popolare e realizzare i loro sogni di potere. Non stupisce che la comunità internazionale – e ancor più la vicina Unione europea – sia nello stesso tempo preoccupata e incerta sul da farsi. Non è che nelle capitali del vecchio continente i corrotti ras al potere della sponda sud godano di tante simpatie. In molti, anzi, ritengono che l’unica soluzione sia quella di favorire il più possibile un processo di reale democratizzazione. Ad ogni elezione smaccatamente manipolata, ad ogni occasione perduta di avviare riforme strutturali, si aggrava la situazione.Ma dall’altra parte, sembrano ben solide le argomentazioni di chi teme che la fine di questi regimi porterebbe solo il peggio, con l’occupazione del potere da parte dei movimenti radicali islamici. I quali non fanno mistero di voler imporre a tutti la propria visione massimalista, con la violenza se necessario. Confinando, ancor più di quanto accada oggi, in un incerto e fragile limbo sociale le minoranze cristiane presenti. A parole riconosciute come gruppi protetti, nei fatti vessate e marginalizzate, quasi fossero estranei sgraditi, non comunità presenti in quella regione da ben prima dell’avvento dell’islam. Stretti fra una scelta cattiva e una pessima, tanto la sponda sud quando quella nord del bacino mediterraneo non riescono a far altro che procedere a vista: un po’ d’aiuti economici o di sostegno politico e un po’ di reprimende da parte nostra; qualche timida riforma e tanti passi nella direzione sbagliata da parte loro. L’inverno dello scontento popolare è destinato a continuare a lungo.
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