martedì 7 gennaio 2014
Oltre lo spread, i deficit reali e il complesso d’inferiorità
di Leonardo Becchetti
COMMENTA E CONDIVIDI
La storia economica recente del nostro Paese insegna che l’Italia ha pagato drammaticamente i propri difetti di reputazione e credibilità. Dopo la grave crisi del 1992 con l’attacco alla lira l’ingresso nell’euro sembrava l’unico modo per "comprare" una reputazione che non avevamo e sfuggire alla spirale di svalutazioni, inflazione e alti tassi d’interesse che ci affliggeva. L’ingresso nell’euro ci consentiva infatti di "acquistare" la reputazione media dell’Eurozona, un guadagno importante per il nostro Paese la cui credibilità e affidabilità economica era ritenuta al di sotto della media dei Paesi aderenti. Il guadagno di reputazione con l’adozione della valuta unica fu immediato e si tradusse nella bonaccia dei tassi d’interesse. Non abbiamo saputo sfruttare l’occasione per colmare il gap a livello di Sistema Paese con i nostri "alleati" del Nord Europa e la tempesta si è riscatenata con la "crisi dello spread" che altro non è che una crisi di reputazione e di affidabilità dei Paesi del Sud Europa (e, tra questi, del nostro). In questa nuova crisi ci sono sicuramente cause internazionali, ma anche nostre responsabilità. Il differenziale di rapporto debito/Pil esiste e non è stato inventato dai partner del Nord. I ritardi in termini di Sistema Paese sempre rispetto ai migliori Stati nordici (istruzione, efficienza giustizia e amministrazione pubblica, corruzione, dotazione di infrastrutture informatiche come la banda larga) esistono, eccome.
Tornando a oggi, la camicia di forza del Fiscal Compact, l’europatto economico-finaziario che si è tradotto in un gravissimo fardello che rende più difficile la nostra ripresa, non ha alcun senso economico nelle sue ossessioni sui decimali ma si giustifica solo con la mancanza di fiducia dei partner nei nostri confronti. E quindi, ancora una volta, con il nostro difetto di affidabilità e di reputazione. Per evitare di restare in mezzo al guado – cioè con una moneta unica, ma senza un vero Stato federale – dovremmo procedere verso una vera e propria «unione fiscale» dell’Eurozona con mutualizzazione del debito e maggiori vincoli di solidarietà tra i Paesi membri. Ancora, quello che più ostacola questo processo è la mancanza di fiducia reciproca dettata dai nostri limiti di credibilità e reputazione. E ogni piccolo passo avanti in tale direzione come la sorveglianza unica bancaria rischia sempre d’incepparsi o di diventare più difficile di fronte ai limiti di reputazione come nel caso del considerare rischiosa l’eccessiva detenzione di titoli pubblici italiani da parte delle banche sottoposte a vigilanza europea. Persino i progetti di uscita dall’euro (il cosidetto "piano B") sono resi molto più pericolosi e ardui dal nostro perdurante difetto di credibilità e reputazione. Cosa succederebbe se fossimo di nuovo soli in mare aperto ad affrontare le tempeste e le turbolenze della finanza globale ? Un conto è il Regno Unito con la sterlina, un conto noi con la lira.
 
Insomma, il messaggio alla nuova classe politica è che qualunque sia il nostro futuro (piano A o piano B, restare in mezzo al guado o spostarci verso una delle due rive) i frutti delle nostre scelte saranno decisamente migliori se sapremo superare questo deficit di credibilità. Il rischio ancora più insidioso a esso correlato è che un complesso d’inferiorità non ci dia il coraggio di fare analisi economiche lucide sapendo anche scoprire i bluff e i comportamenti strategici dei nostri partner. Quando si è in difetto di credibilità è infatti più difficile essere autorevoli nel dibattito internazionale, avere coraggio e riuscire ad affermare il proprio punto di vista anche nel caso in cui si ha ragione e gli altri hanno torto.
In altri termini vincere complessi d’inferiorità e, contemporaneamente, recuperare il deficit di credibilità e di reputazione agli occhi dei nostri partner significa oggi varie cose. Spiegare ai partner del Nord Europa che il Fiscal Compact è un’ossessione che rischia di essere controproducente. Che la strada del rigorismo sta deprimendo la domanda interna dell’eurozona e quella dell’euro forte mettendoci in grave difficoltà di fronte ai nostri concorrenti internazionali che usano spregiudicatamente la svalutazione per mantenere la loro competitività. Che i Paesi del Nord hanno il dovere di restituire i benefici di un cambio fisso all’interno dell’Eurozona con uno stimolo fiscale e monetario per aiutare i Paesi del Sud a migliorare la loro performance cessando di essere un problema per loro stessi. Che la Bce deve diventare qualcosa di molto più simile alla Fed americana e "sfruttare" il dividendo monetario della globalizzazione con una politica monetaria più espansiva che si ponga direttamente l’obiettivo di ridurre la disoccupazione. Esigendo dalla Germania un cambio di atteggiamento in memoria della lungimiranza e benevolenza dei tanti Paesi (Grecia inclusa) che dopo la guerra hanno condonato i suoi debiti.
Allo stesso tempo, per parte nostra, dobbiamo confermare il nostro impegno di rientro dal rapporto debito/Pil (che ci aiuterà a recuperare reputazione) senza deprimere ulteriormente la domanda interna. È questa la sfida più difficile che non può essere vinta senza negoziare come spiegato sopra il perimetro di una Ue diversa nelle sue politiche fiscali e monetarie.Abbiamo una classe politica nuova. I quarantenni hanno detto che è il loro momento e si sono impegnati a recuperare il terreno perduto. La sfida che hanno davanti è molto impegnativa e i prossimi mesi, forse anni, ci diranno se saranno riusciti ad aprire un varco superando contemporaneamente sia il complesso d’inferiorità che il difetto di credibilità e reputazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: