giovedì 25 agosto 2011
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Il fatto è che sono bravi, proprio bravi i ragazzi della Gmg. Ma per accorgersene bisogna avere tanto tempo e poca supponenza. Bisogna incontrarli: uno, dieci, cento. Parlarci, cercando di far loro dimenticare che sei un giornalista e potresti essere loro padre. Sedersi per terra con loro, e accidenti alla sporcizia. E bere dalla stessa borraccia, e accidenti ai batteri. Stare sotto lo stesso sole, e accidenti al sudore. Sono bravi. Sensibili. Intelligenti. Ma non recitano la parte dei bravi ragazzi a tutti i costi. Chi è partito per Madrid al buio, a occhi chiusi, senza aspettarsi nulla e senza credere in verità certissime, ma con il cuore ingombro di dubbi, te lo dice; proprio come chi è arrivato per una chiamata precisa, con uno scopo limpido, per far crescere una fede non più bambina. Ti fanno le domande giuste, non ti danno le risposte che pensano tu possa desiderare. In questo sono davvero poco televisivi e a un casting naufragherebbero tra sorrisi di compatimento. Non amano compiacere, diffidano di chi cerca di compiacerli. I ragazzi di papa Benedetto, quelli della Gmg 2.0, sono una grande risorsa. Per la Chiesa e per la società. Per il mondo intero: oggi, adesso, non in un imprecisato futuro. Costituiscono un potenziale enorme, capace di realizzare l’unica vera rivoluzione che conta, quella dei cuori e delle menti. Purché. Purché non li consideriamo una massa. Una massa da piazzare su qualche tavolo da gioco. Una massa da vivisezionare. Una massa da manipolare. Un esercito da schierare per qualche strategia di cui loro stiano però all’oscuro. Purché non li consideriamo 'nostri' nel senso della proprietà. Nostri, di noi adulti, e di una Chiesa che sciaguratamente dovesse cadere nell’errore di incatenare e inchiodare in ruoli e schemi, anziché liberare. Purché, invece, li consideriamo persone libere da aiutare a rendersi ancora più libere. Persone che scoprono la propria chiamata, nella Chiesa e nella società. Persone con il coraggio di inseguire il proprio personale sogno, senza indietreggiare. Persone da rispettare nella loro libertà, anche se dovessero prendere, speriamo per poco, strade non esattamente diritte. Persone per cui pregare. Persone, giovani donne e uomini a cui affidare, a ragion veduta, delle responsabilità. Giovani donne e uomini che non è giusto rimangano imprigionati per sempre in ruoli di bassa manovalanza, fino a convincersi che le loro idee non interessano agli adulti, alla comunità, alla società; fino ad andarsene delusi. Giovani che sarebbe peccato grave se li deludessimo. Questa, più di ogni altra, è stata la Giornata mondiale dei giovani. La loro Giornata. Non, con tutto il rispetto, la Giornata degli educatori, dei preti, dei vescovi. Neppure la Giornata del Papa, che i giovani ha convocato proprio perché la festa fosse la loro festa. Gli educatori, i preti, i vescovi e sì, perfino il Papa si sono messi a servizio dei più giovani. Proprio come Gesù ha fatto e ha invitato a fare: i più grandi a servizio dei più piccoli, senza quel paternalismo che i giovani, comunque, annusano e smascherano. E allora diamogliela, la fiducia. Nelle comunità, nelle parrocchie, nelle aggregazioni, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro, in politica. Ci hanno stupito per una settimana. Perché dubitare che possano stupirci per anni interi?
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