Questo tempo troppo pieno di paura e l'onestà (pure verso noi) che ci salverà
giovedì 13 dicembre 2018

Gentile direttore,

l’articolo di Pino Ciociola («La cronista e la mamma rom. Se alla fine a vincere è l’odio») pubblicato a pagina 9 dell’8 dicembre 2018 è una triste ma rappresentativa fotografia della nostra società attuale. Il “soggetto” della mia foto è “la paura”. Ha paura la giovane rom che teme e subisce l’arresto dei vigilantes e l’aggressività dei passeggeri; ha paura la bambina che vede la mamma picchiata e cade a terra col rischio di restare separata e abbandonata; hanno paura i vigilantes che si vedono strappare la rom da un passeggero che tenta una punizione “immediata”; ha paura la giornalista che decide di intervenire contro l’aggressione compiuta da questo passeggero e di scuotere gli altri passeggeri... Trionfa “la paura dell’altro”, specie se ha idee e intenzioni diverse dalle mie; la paura come clima, come modello relazionale che non viviamo solo sulla metropolitana di Roma. Ritengo che, in questi ultimi 10-20 anni, governi, partiti e istituzioni (nazionali ed europee) non abbiano colto il problema né dedicato l’impegno necessario a prevenirlo e curarlo. Faccio un esempio che pare non c’entri nulla: i commenti dei funzionari europei sul programma economico-finanziario italiano per il 2019 hanno costantemente «l’aspetto della minaccia che crea paura, soggezione», mai quello della comprensione-condivisione delle nostre difficoltà.

Camillo Ronchetti Milano


Lei, gentile signor Ronchetti, vede bene il problema della “paura” (e delle situazioni, delle parole e dei gesti che la fomentano) a proposito del quale in questi anni abbiamo – e io stesso ho – documentato e scritto molto. Trovo interessante il suo ragionamento. Una sola sottolineatura: non sono «funzionari» di un’algida e lontana entità europea a «minacciare» l’Italia, ma ad affrontare le parole e i gesti dei politici italiani sono altri politici designati dagli Stati membri della Ue per governare la macchina comune e presidiare le regole condivise che ci siamo liberamente dati. Non è una distinzione da poco. Le regole cui accenno non sono tutte sbagliate, anzi. Ma effettivamente per certi e ben determinati aspetti vanno aggiornate e, in qualche caso meritano di essere seriamente riviste. Per questo chiediamo da anni, una svolta che archivi la stagione dell’iper-rigorismo contabile senza chiudere quella della responsabilità nell'amministrare le risorse pubbliche e nel “servire” la vita e le attività dei propri concittadini. Una sorta di quadratura del cerchio? Forse, ma va trovata. E l’Italia deve saperlo fare dimostrandosi decisa e affidabile, non velleitaria e rissosa. È l’onestà verso noi stessi che ci salverà assieme alla cooperazione coi nostri amici e alleati.

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